Oggi, nel momento in cui evocano scenari di trattativa “con Roma” per il residuo dei modello industriale presente sul territorio devono essere chiare alcune cose. Prima di tutto che non esiste alcuna cabina di regia, o strumento di politica industriale, che possa fare come negli anni ’60. E che quindi vanno separati i tavoli sulle singole vertenze, che invece sono attivi, dalla vertenza di modello. Mica per altro, per non perdere tempo. Poi è importante capire la tendenza istituzionale: il governo centrale privilegia le economie di scala, specie in vista delle prossime ondate di privatizzazioni, piuttosto che le economie territoriali (quelle legate alla specificità del territorio e delle sue istituzioni). E non a caso, dopo l’abolizione delle province (invece di ripulirle e ristrutturarle come strumento della politica territoriale) prevede accorpamenti e dismissioni delle partecipate. E anche accorpamenti e dismissioni dei comuni. Rafforzando invece aree metropolitane, invece delle Regioni (che devono agire in una complessità di territori, non solo i capoluoghi) e decisionismo, senza investimenti pubblici, del potere centrale. Deve essere chiaro che andare a trattare con un governo centrale, che privilegia le economie di scala e le offre a privati (ultimi, gli imprenditori cinesi recentemente a Roma col premier), con la bandiera dell’economia territoriale è uno scontro duro e assai complesso. Non solo, è uno scontro che si gioca non prima di aver stabilito, anche in maniera fortemente simbolica, ponti a Bruxelles e Strasburgo. Bypassando un governo che della mediazione internazionale, e del “non possiamo perché ce lo dice l’Europa, fa un punto di vanto e di forza. La geometria dei poteri, e anche dei rapporti tra istituzioni, è molto cambiata con la crisi. I nostalgici delle liturgie anni ’60, che abbondano in partiti e persone che non solo col Pci ma anche con il Pd non hanno a niente che vedere, deve essere chiaro: guadagneranno tempo, magari spunteranno qualche concessione simbolica ma non andranno da nessuna parte. E’ da oltre 20 anni che è il finale della liturgia della trattativa del territorio “con Roma” è scritto a questo modo. Si tratta invece di capire sul serio che non solo con la crisi, ma anche con la governance multilivello, non solo sono cambiate le geometrie istituzionali. Ma che se una istituzione locale riconosce come centrale il rapporto con Roma, è destinata ad essere o schiacciata dai processi di globalizzazione, attivati in Europa tramite la governance continentale, o liquidata delle politiche di austerità dello stato nazionale. Dare poi per scontato che dallo stato centrale si voglia preservare la vita politica municipale sarebbe poi un atto di ottimismo: le economie di scala, magari governati da soggetti privati post-nazionali, non intendono avvalersi dell’autonomia dei poteri pubblici locali. E il governo Renzi, come qualsiasi altro promosso dal centrosinistra, esiste per supportare questi poteri.
Se Livorno vuol praticare un modello sardo, andare nella capitale essere gentilmente accompagnati nei binari morti o per prendere magari qualche legnata, la strada c’è già. Inaugurata nel 1993.
collasso.
RispondiEliminaOggi, nel momento in cui evocano scenari di trattativa “con Roma” per il residuo dei modello industriale presente sul territorio devono essere chiare alcune cose. Prima di tutto che non esiste alcuna cabina di regia, o strumento di politica industriale, che possa fare come negli anni ’60. E che quindi vanno separati i tavoli sulle singole vertenze, che invece sono attivi, dalla vertenza di modello. Mica per altro, per non perdere tempo. Poi è importante capire la tendenza istituzionale: il governo centrale privilegia le economie di scala, specie in vista delle prossime ondate di privatizzazioni, piuttosto che le economie territoriali (quelle legate alla specificità del territorio e delle sue istituzioni). E non a caso, dopo l’abolizione delle province (invece di ripulirle e ristrutturarle come strumento della politica territoriale) prevede accorpamenti e dismissioni delle partecipate. E anche accorpamenti e dismissioni dei comuni. Rafforzando invece aree metropolitane, invece delle Regioni (che devono agire in una complessità di territori, non solo i capoluoghi) e decisionismo, senza investimenti pubblici, del potere centrale. Deve essere chiaro che andare a trattare con un governo centrale, che privilegia le economie di scala e le offre a privati (ultimi, gli imprenditori cinesi recentemente a Roma col premier), con la bandiera dell’economia territoriale è uno scontro duro e assai complesso. Non solo, è uno scontro che si gioca non prima di aver stabilito, anche in maniera fortemente simbolica, ponti a Bruxelles e Strasburgo. Bypassando un governo che della mediazione internazionale, e del “non possiamo perché ce lo dice l’Europa, fa un punto di vanto e di forza. La geometria dei poteri, e anche dei rapporti tra istituzioni, è molto cambiata con la crisi. I nostalgici delle liturgie anni ’60, che abbondano in partiti e persone che non solo col Pci ma anche con il Pd non hanno a niente che vedere, deve essere chiaro: guadagneranno tempo, magari spunteranno qualche concessione simbolica ma non andranno da nessuna parte. E’ da oltre 20 anni che è il finale della liturgia della trattativa del territorio “con Roma” è scritto a questo modo. Si tratta invece di capire sul serio che non solo con la crisi, ma anche con la governance multilivello, non solo sono cambiate le geometrie istituzionali. Ma che se una istituzione locale riconosce come centrale il rapporto con Roma, è destinata ad essere o schiacciata dai processi di globalizzazione, attivati in Europa tramite la governance continentale, o liquidata delle politiche di austerità dello stato nazionale. Dare poi per scontato che dallo stato centrale si voglia preservare la vita politica municipale sarebbe poi un atto di ottimismo: le economie di scala, magari governati da soggetti privati post-nazionali, non intendono avvalersi dell’autonomia dei poteri pubblici locali. E il governo Renzi, come qualsiasi altro promosso dal centrosinistra, esiste per supportare questi poteri.
Se Livorno vuol praticare un modello sardo, andare nella capitale essere gentilmente accompagnati nei binari morti o per prendere magari qualche legnata, la strada c’è già. Inaugurata nel 1993.
Da Senza Soste
http://www.pisorno.it/trw-da-lunedi-si-rientra-e-si-timbra-il-cartellino-ma-e-difficile-pensare-che-riprenda-la-produzione-il-sindacato-impedisce-registrazioni-audio-e-video/
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