domenica 31 luglio 2016

Referendum Fincantieri: i lavoratori puniscono le scelte della Fiom


Nei giorni 25 e 26 luglio, presso tutti gli stabilimenti Fincantieri, i lavoratori sono stati chiamati ad esprimersi con un voto sull’ipotesi di accordo siglata unitariamente da Fim Fiom e Uilm per il rinnovo del contratto aziendale. Il risultato finale complessivo vede il SI prevalere di misura, con il 57% (2885) dei voti contro il 42% (2125) dei  NO. Se si tiene conto solo del voto strettamente operaio dei cantieri, su cui il nuovo contratto avrà l’impatto più disastroso, il SI passa con un, ancor più misero, 54%.

In un precedente articolo, avevamo spiegato le ragioni per cui ritenevamo profondamente negativa l’intesa raggiunta, per cui abbiamo fatto appello ai lavoratori a respingerla nelle urne. Da questi dati emerge chiaramente come, ad una vittoria molto striminzita del SI dal punto di vista aritmetico, corrisponda una sconfitta politica evidente per tutti e tre i sindacati firmatari.
Soprattutto per la Fiom.
Sono infatti i cantieri in cui la Fiom ha più iscritti, radicamento e forza sindacale, quelli in cui il NO prevale o perde di poco. Clamorosi sono i dati di Ancona e Marghera, dove storicamente più forte è la capacità di conflitto della Fiom, in cui il NO rispettivamente prevale e pareggia. 
Altrettanto significativa è la vittoria schiacciante del NO nel cantiere di Monfalcone, che è il più grande ed importante del gruppo, con il 61%. Anche a Palermo e Riva Trigoso la vittoria del SI è solo del 52%.
Addirittura nel quartier generale di Trieste, dove sono presenti solo ingegneri, tecnici ed impiegati altamente qualificati, il SI non va oltre il 61%. Persino in una realtà storicamente difficile dal punto di vista sindacale, come Castellammare, il SI si ferma al 68%.
Di fatto, l’unico cantiere in cui l’accordo passa con un risultato importante è Sestri Ponente dove viene approvato con l’84% dei consensi.
Queste cifre non lasciano spazio ad interpretazioni. Nel voto i lavoratori, soprattutto quelli legati alla Fiom, hanno voluto punire la scelta fatta dalla propria organizzazione di firmare ad ogni costo l’accordo, piuttosto che rischiare di restare esclusa da una intesa separata delle sole Fim e Uilm.
Nel precedente articolo avevamo chiesto al gruppo dirigente della Fiom se, anziché dare per persa la battaglia, non fosse valsa la pena di tentare di riprendere il conflitto. Oggi rinnoviamo lo stesso quesito con la certezza, emersa dalle urne, che le debolezze e i timori dietro cui si giustificava tanta arrendevolezza non erano proprie dei lavoratori, bensì del gruppo dirigente della Fiom. Questo risultato rappresenta una sconfitta politica che necessita l’apertura di una riflessione seria e profonda all’interno della Fiom in merito alla deriva che la nostra linea sindacale sta prendendo. Questo diventa ancor più necessario nel mezzo di una vertenza così complicata come quella in cui siamo immersi per il rinnovo del contratto nazionale.
Il voto della nostra base di riferimento in Fincantieri ci sta dicendo in maniera inequivocabile che la Fiom non può rimangiarsi le ragioni di anni di lotte. Non può accettare di firmare contratti a tutti i costi e soprattutto non può accettare di veder applicato ciò contro cui ha mobilitato i lavoratori per oltre un decennio.
Il messaggio è chiaro e forte: o la Fiom torna ad avere il coraggio di dire NO, costi quel che costi, come fece a Pomigliano nel 2010 - e allora potrà ottenere risultati eccellenti come al rinnovo degli RLS nel gruppo FCA - oppure dovrà pagare un prezzo altissimo.
In termini di autorevolezza, di radicamento, di militanti e, non ultimo, di iscritti.

lunedì 25 luglio 2016

PROCESSO VALUTAZIONE IMPIEGATI

Riceviamo e pubblichiamo:

Alcuni impiegati ci riferiscono di essere annualmente sottoposti ad un “processo” di "assegnazione di obiettivi" per il proprio lavoro, di autovalutazione tramite obbligo di auto-assegnazione di voti e di valutazione da parte dell'azienda, anche sulla base del raggiungimento degli obiettivi fissati l'anno precedente.
Ci riferiscono anche che alcuni "prescelti", al raggiungimento di tali obiettivi, vengono premiati con retribuzione aggiuntiva.

Vediamo in tutto questo diversi aspetti di arbitrarietà  e di incompatibilità con la legislazione  e il contratto nazionale vigente, in particolare:

1) Gli obiettivi sono definiti unilateralmente dall'azienda,  senza nessun vincolo e nessuna  trasparenza. All'interno dello stesso gruppo di lavoro, gli obiettivi assegnati ad un lavoratore rimangono un fatto "privato", senza alcuna possibilità di confronto e nessuna garanzia di equità e di parità di possibilità di raggiungimento.

2) Ne consegue che la valutazione delle "performance" di ciascun dipendente puo` essere  del tutto arbitraria, e non e`comunque verificabile, violando quindi I principi di correttezza e trasparenza.

3) Distribuire aumenti una tantum ad alcuni tra i lavoratori, sulla base di un processo ad esclusivo controllo dell'azienda può senz'altro dare origine a discriminazioni. Ci risulta anche che non tutti i collaboratori che raggiungono e superano gli obiettivi vengono premiati, mentre tali "alte prestazioni" contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi assegnati al responsabile, che viene per questo premiato.

4) Obbligare i dipendenti ad assegnarsi dei voti, per di più "mercanteggiati" col responsabile, può essere lesivo della dignità e dell'autostima del lavoratore professionista, che si vede obbligato a sottostare a imposizioni artificiose, senza reale fondamento rispetto alla mansione che  è chiamato a svolgere.

Per queste ragioni:

- rivendichiamo la corretta applicazione del CCNL che definisce profili corrispondenti a mansioni definite, che ciascun dipendente è tenuto a svolgere senza essere sottoposto a "gare" o a "sfide nel tempo", come se si trattasse di prestazioni a cottimo.

- richiediamo, a norma del CCNL, che l lavoratori siano valutati esclusivamente in base al fatto che svolgano o meno in modo adeguato la mansione che gli è stata assegnata, senza obblighi aggiuntivi che finiscono per generare competizione sul nulla, frustrazione, delusione per non essere tra i “premiati”.

Invitiamo l'azienda ad interrompere tali pratiche e a limitarsi alla corretta applicazione della normativa e del vigente contratto nazionale.

25 luglio 2016
G. Garzella, S. Cini RSU

giovedì 21 luglio 2016

PERMESSI PER RIPOSO GIORNALIERO (EX ALLATTAMENTO)

Riceviamo e pubblichiamo:

Siamo venute a conoscenza del fatto che l'azienda continua a negare l'uso dei permessi per “riposo giornaliero” (ex allattamento) quando per il resto del turno si chiede di assentarsi con PAR e/o altri permessi fruibili ad ore.
Per esempio, l'azienda fa difficoltà se il lavoratore padre o la lavoratrice madre chiede di fruire all’interno del turno di lavoro di  2 ore di allattamento e 6 di PAR o di altro tipo di permesso.

Su questo  punto, è stata pubblicata di recente la sentenza del Giudice del Lavoro di Pisa, n.20/2016, sul ricorso con cui Michela Ruffa richiedeva precisamente che la Continental le riconoscesse l'utilizzo, in diversi casi, delle 2 ore di permesso richieste per allattamento, con il resto del turno coperto da altri permessi (PAR, ferie, permessi sindacali).
La sentenza dispone il riconoscimento del diritto all'utilizzo dei permessi di riposo giornaliero anche nelle giornate in cui il lavoratore si assenta per altri permessi chiesti per tutto il resto del turno ma non in coincidenza coi riposi. E’ escluso solo il caso in cui l'intera giornata sia stata richiesta dal lavoratore come PAR, ferie, ecc., o sia stata di assenza per sciopero.

Il diritto alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere sempre rapportato all'orario di lavoro contrattuale e non a quello effettivamente svolto giornalmente, pertanto invitiamo i lavoratori interessati a:

1) fare per tempo e per iscritto la richiesta di fruizione dei riposi giornalieri, per usufruirne sin dal primo giorno del possibile rientro in azienda, ossia dal giorno successivo alla fine della maternità obbligatoria;

2) richiedere formalmente e per iscritto la fruizione di 6 ore di PAR o altro permesso con fruizione ad ore, nel caso abbiano necessità di assentarsi anche per il resto del turno;

3) riferirci qualsiasi forzatura o tentativo di non riconoscimento dei congedi metta in atto l'azienda. 

Invitiamo  la FIOM provinciale e la RSU, che all'epoca in cui fu sollevata la questione non ritennero necessario aprire una vertenza sindacale, a esigere l'applicazione di questi diritti, che non devono essere  demandati ancora una volta  alla volontà e al coraggio dei singoli lavoratori.

21 luglio 2016                                                      
RSU   Silvia Cini  e  Giada Garzella 

martedì 19 luglio 2016

TRATTATIVA RSU - AZIENDA: SALDI DI FINE ESTATE!!!



Che ne è della trattativa con l'azienda su pause, interinali e part time? Tutto tace.
Ma davvero è tutto fermo? E perché tutto questo silenzio? Credete forse che l'azienda abbia rinunciato alle sue pretese?

Quello che noi crediamo è che la trattativa sia arrivata ad un vicolo cieco proprio perché l'azienda non rinuncia a quello che vuole e la RSU non è stata in grado di contrapporre niente per impedirglielo. La discussione è semplicemente rinviata a settembre perché c'è necessità di prendere tempo e riorganizzarsi!

La premessa rimarrà la stessa: anche a settembre l'azienda continuerà a pretendere quello che ha già detto e ripetuto e la trattativa sarà ancora in un vicolo cieco e del tutto a svantaggio dei lavoratori. Quello che cambierà secondo noi sarà l'approccio della RSU che cercherà di RIORGANIZZARSI allargando le maglie di questa trattativa per avere più argomenti con cui fare lo "scambio"
Sappiamo bene infatti che la nostra RSU non ha alcuna intenzione di riorganizzarsi ponendo dei PALETTI (l'ha già detto pubblicamente e se avesse cambiato idea sarebbe già venuta in assemblea) ed è sicuramente intenzionata a cedere all'azienda su diversi punti! 
Quindi a settembre, peggio che mai, ci ritroveremo con una RSU che verrà a chiederci il mandato per una "trattativa a maglie allargate" semplicemente per avere più materiale di scambio. Naturalmente con queste premesse sarà una trattativa al ribasso dove sul tavolo ci saranno anche gli orari di lavoro, le indisposizioni, le donazioni e magari anche il preavviso per cambio turno che misteriosamente è già scomparso perché impone vincoli "insopportabili" per l'azienda.... 

Diciamo fin da ora che siamo contrari a qualsiasi tipo di mercanteggiamento, che i diritti acquisiti non si toccano e l'integrativo e gli orari di lavoro vanno migliorati, non peggiorati!
Da qui a settembre continueremo a lavorare perché le premesse siano gli interessi dei lavoratori, non quelli dell'azienda.

Disastro in Puglia. L’errore è non ribellarsi!


Disastro ferroviario in Puglia: ennesima strage annunciata! Scontro frontale tra due treni pendolari: 23 morti e oltre 50 feriti. Solidarietà e vicinanza ai familiari delle vittime.


Comunicato sindacatoaltracosa – opposizione cgil. Ad ogni strage, solite lacrime di coccodrillo e annunci di altre inchieste. Politicanti, amministratori, manager e amministratori delegati, fanno veramente schifo per le gravi responsabilità di queste immani tragedie e per le gravi irresponsabilità di scaricare le proprie colpe su altri; quando esercitano questa “arte” su lavoratori che hanno perso la vita, mostrano tutta la loro vigliaccheria.
La strage del 12 luglio in Puglia, al pari delle altre (Val Venosta, Viareggio, Crevalcore, Rometta Maria, Piacenza …), è figlia di processi di ristrutturazione, liberalizzazione, privatizzazione e societarizzazione, di questi anni. Processi finalizzati a “tutelare” profitti, rendite e speculazioni, a vantaggio di pochi ma a danno della salute e della sicurezza di molti. La vita di ferrovieri, pendolari, viaggiatori, cittadini, è totalmente subordinata a interessi privati e personali di lorsignori.
In questi anni, abbiamo assistito al taglio di personale, della manutenzione, all’agente unico, alla soppressione di officine e presìdi, all’annullamento di elementari norme sulla sicurezza.
I disastri ferroviari di questi anni hanno provocato decine e decine di morti, oltre ai tanti lavoratori che hanno perso la vita sui binari. Solo nella gestione Moretti (2006-14), da Ad della holding Fs, per incidenti di lavoro, sono morti 56 lavoratori! Una statistica tragicamente impressionante …
Il cordoglio della casta politica è un rituale penoso oltre che offensivo. Gli appelli alla verità ed alla giustizia non sono da meno. Le “veline” dei mass media sulle “ferrovie più sicure d’Europa”, sono un inchino ben retribuito da padroni e manager.
Le ferrovie sono sempre più un campo di battaglia e Ad e dirigenti continuano a straparlare di sicurezza e di … spiacevolissimi episodi, come la strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, fu definita da Moretti alla Commissione VIII lavori del Senato.
Non aver garantito sicurezza sui binari, non aver investito in sicurezza ed aver praticato una politica di abbandono sulla sicurezza sono il vero errore disumano. Così come è un errore che tutti i governi che si sono succeduti in questi decenni abbiamo impegnato enormi risorse soltanto per le linee ad alta velocità, costose, inutili e persino dannose per l’ambiente e le comunità locali, come la TAV.  Non ribellarsi a questo stato di cose è l’unico errore umano.
A fianco dei ferrovieri in lotta e che esercitano il diritto di sciopero contro il peggioramento delle condizioni di lavoro, per la sicurezza e per la salute!
Organizzarsi e mobilitarsi oggi, per non recriminare e piangere domani!
14 luglio 2016
sindacatoaltracosa – opposizione cgil

mercoledì 13 luglio 2016

Rilanciare da categorie, luoghi di lavoro e territori (Como, Scacchi, Carelli, Simeone, Grisolia, Durante)


di Eliana Como, Luca Scacchi, Carlo Carelli, Nando Simeone, Franco Grisolia, Francesco Durante
L’assemblea dell’8 luglio del sindacatoaltracosa – opposizione CGIL prosegue il percorso di confronto che il Coordinamento nazionale ha aperto il 14 giugno scorso, che continuerà nelle prossime settimane nei territori e nelle categorie e che si concluderà all’inizio dell’autunno, con un’assemblea più ampia e rappresentativa possibile, composta dal nostro coordinamento (delegati al congresso e componenti CD di categoria) e da esponenti dei territori (assemblee generali nazionali di categoria e assemblee generali regionali confederali).
Questa discussione, resa imprescindibile dalla repressione FIOM e CGIL e dal conseguente abbandono di una parte del nostro gruppo dirigente (senza, al momento, grandi riscontri nel quadro intermedio dei territori e delle categorie), deve permetterci di approfondire e confrontarci con il difficile contesto (la Grande crisi, la precipitazione delle contraddizioni e delle tensioni mondiali, la lunga depressione italiana e la dispersione della coscienza e dell’organizzazione di classe), con l’involuzione della CGIL (l’autoritarismo e l’inconcludente ricerca di un patto dei produttori), con le difficoltà e le divisioni del sindacalismo conflittuale e di classe.
Una discussione necessaria per rilanciare l’iniziativa, a partire dalle 4 linee di intervento indicate dal documento del Coordinamento nazionale: la difesa del pluralismo, la ripresa della lotta contro il governo, il contrasto con la linea contrattuale della maggioranza, la necessità di sostenere, connettere e dare protagonismo alle diverse lotte e vertenze oggi disperse.
Una discussione indispensabile per avviare anche una ri-organizzazione, nel quadro di un’area sindacale ancora piccola ma plurale, anche affrontando i nostri limiti e ridefinendo le nostre strutture. In particolare, secondo le indicazioni del CN del 14 giugno, proponiamo ai compagni e alle compagne nei territori e nelle categorie di valutare tre criteri per la ridefinizione di queste strutture.
1. Il coordinamento nazionale deve assumere un ruolo più attivo e continuativo, come momento di discussione e definizione partecipata della linea sindacale, vero organismo dirigente collettivo dell’area. Per questo deve riunirsi periodicamente, almeno 2/3 volte all’anno, ritrovando la sua piena composizione che comprende i delegati e le delegate all’ultimo congresso, i componenti degli organismi centrali CGIL e dei direttivi nazionali di categoria, i coordinatori regionali dei territori eventualmente non rappresentati.
2. L’esecutivo nazionale, pur con l’attenzione che non superi significativamente gli attuali limiti dimensionali, deve essere tuttavia ridefinito, a partire dall’esplicitazione dei criteri di rappresentanza dei suoi componenti. E’ importante infatti che nella direzione dell’area, a differenza di come è avvenuto nel passato, sia evidente il rapporto con i territori o le categorie di appartenenza, e quindi i rispettivi componenti siano individuati dai rispettivi coordinamenti. Come è importante, nell’ottica di una maggiore considerazione delle dinamiche dello scontro di classe, che siano rappresentate realtà dove l’area ha l’autorevolezza e la capacità concreta di influire nel conflitto, perché è maggioranza tra i lavoratori e le lavoratrici del proprio stabilimento, uffici o unità lavorativa. Proponiamo, quindi, che nell’esecutivo siano presenti, oltre ai componenti degli organismi centrali CGIL, anche alcuni delegati dei luoghi di lavoro dove abbiamo chiari rapporti di forza in grado di pesare nei loro territori, nei settori di appartenenza e anche nelle dinamiche più complessive dello scontro di classe, individuandoli con criteri oggettivi che discuterà il coordinamento nazionale.
3. Il gruppo operativo, composto come oggi dai componenti degli organismi centrali della CGIL, deve esser il reale organismo collegiale di gestione quotidiana e operativa dell’area, superando in questo senso la logica leaderistica del passato.
Da qui al prossimo Congresso, sulla base dei 4 punti politici prima individuati, oltre che di una nuova struttura plurale che vogliamo più rappresentativa e meno verticistica di quella del passato, crediamo ci siano le condizioni per rilanciare l’opposizioneCGIL e provare a lavorare per la ripresa del conflitto sociale, in direzione ostinata e contraria.
Eliana Como, Luca Scacchi, Carlo Carelli, Nando Simeone, Franco Grisolia, Francesco Durante.
https://sindacatounaltracosa.org/2016/07/11/riorganizzare-e-rilanciare-larea-da-categorie-luoghi-di-lavoro-e-territori-como-scacchi-carelli-simeone-durante/

venerdì 8 luglio 2016

Accordo Fincantieri. Si torna al pagamento in natura



Articolo di Serafino Biondo, Paolo Brini, Sasha Colautti, Eliana Como, Francesco Doro, Stefano Fontana, Antonio Santorelli.


L’analisi di un contratto aziendale, se vuole essere un utile contributo alla discussione e alla riflessione dei lavoratori, dei delegati e dell’organizzazione sindacale tutta, presenta sempre elementi di complessità e richiede un’attenta disamina di tutti i fattori in campo. Questo è ancora più vero se stiamo parlando del gruppo industriale più importante, assieme a Finmeccanica, della metalmeccanica italiana aderente a Confindustria (escluso dunque FCA). Allo stesso tempo se non si vuole scadere nel sindacalese cerchiobottista di più bassa lega, questa analisi deve concludersi con un giuduzio complessivo da portare tra i lavoratori che saranno chiamati nei prossimi giorni a decidere con un voto se approvare o respingere l’accordo siglato il 24 giugno scorso da azienda e Fim Fiom Uilm (leggi il testo). Diciamo pertanto subito con chiarezza che il nostro giudizio sull’intesa raggiunta è fortemente negativo sia nel merito di quanto prevede, sia per le implicazioni politico-sindacali che essa può avere sul prosieguo della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. Pertanto crediamo che un dibattito franco ed esplicito sul merito di questo accordo non possa che aiutare la nostra organizzazione a meglio orientare la propria linea sindacale nelle battaglie che siamo e saremo chiamati ad intraprendere.
La Fiom riconosce il CCNL separato
Su tutti i punti fondamentali il nuovo accordo peggiora quello precedente sottoscritto nel 2009 (prima solo da Fim e Uilm, dopo 9 mesi anche dalla Fiom) e disdettato dall’azienda unilateralmente il 31 marzo 2015. Tuttavia l’aspetto di maggior gravità, per la sua portata politica generale, è l’accettazione ed il riconoscimento applicativo da parte della Fiom del CCNL separato del 5 dicembre 2012 firmato solo da Fim e Uilm. Recita il testo “[…]a far data dal 1 aprile 2015 presso le società sopra indicate [cioè Società Fincantieri spa e controllate del gruppo. Ndr] viene applicato il CCNL per gli addetti dell’industria metalmeccanica, di data 5 dicembre 2012 […]”. Dunque con un sol tratto di penna si mettono in soffitta le ragioni di 8 anni di lotte e, nonostante le sentenze favorevoli, la Fiom acconsente a che nel principale gruppo industriale metalmeccanico si applichi quel CCNL ripudiato fino al minuto prima.
Il salario: si torna al pagamento in natura
Sul salario i peggioramenti sono palesi e tutti nella direzione che anche Confindustria chiede. Innanzitutto, nonostante i profitti fatti dall’azienda, non solo non viene dato un euro in più ma addirittura è certo che se ne daranno molti meno.
Il principio che passa, come dichiarato dall’amministratore delegato Bono, è che i soldi ai lavoratori si danno solo se l’azienda raggiunge determinati risultati. Altrimenti niente. Ma la cosa più grave è che si accetta che parte del salario sia pagato ai lavoratori “in natura”. Da poco l’archeologia ha scoperto una busta paga risalente alla civiltà mesopotamica di Uruk di 5 mila anni fa in cui si pagava l’operaio in natura, all’epoca precisamente in birra (vedi foto). Oggi con l’introduzione del cosiddetto “welfare aziendale” si torna a 5mila anni fa, poiché parte della retribuzione sarà data in non ancora precisati beni di consumo anziché in denaro.In più ogni lavoratore meno sarà presente al lavoro perché malato, in maternità o in infortunio ecc. e più verrà penalizzato.
Non solo, i valori di tutti gli indicatori premianti saranno completamente nelle mani aziendali senza alcuna possibilità vera di controllo da parte dei delegati.
Ancora peggio, per una parte del personale impiegatizio si istituisce, al posto del Premio di Risultato collettivo, un Piano Obiettivi Gestionali, cioè un salario interamente individuale; vero e proprio colpo al cuore della valenza collettiva del contratto aziendale.
Entrando più nel dettaglio, delle 3 voci che nel precedente contratto componevano il Premio di Risultato ( Premio di Efficienza, Premio di Programma e i 69 euro di premio mensile) solo una rimarrà uguale, il premio di efficienza. Non c’è da stupirsi dal momento che è sempre stato l’unico parametro, nonostante sulla carta avesse una cifra massima di 1500euro, i cui obiettivi non sono stati quasi mai raggiunti, nemmeno quelli minimi.
Il Premio di programma diventerà invece “Premio di partecipazione” e ammonterà alla stessa cifra dell’accordo precedente, 1208 euro. Però, mentre prima erano soldi che sicuramente i lavoratori avrebbero ricevuto, d’ora in avanti non sarà più così. Metà della cifra DOVREBBE essere raggiunta se si superano almeno 2 dei 3 indicatori di qualità (remark, penali, difetti da lavorare in garanzia, ecc. ecc.). L’altra metà DOVREBBE essere raggiunta se si rispettano i dati dell’indicatore di commessa (ore da rispettare per l’esecuzione di una commessa).
Usiamo il condizionale perché in realtà anche qualora questi requisiti fossero superati, il premio verrà dato comunque solo se l’azienda raggiungerà una soglia minima di redditività ( il cosiddetto “EBIT-DA” in pratica in base al bilancio, ricavi e proventi della società). L’eventuale erogazione poi, avverrà comunque nel giugno dell’anno successivo a quello di riferimento in un unica soluzione quando nell’accordo precedente veniva erogato il mese successivo il raggiungimento di uno dei tre obbiettivi.
La parte più clamorosa è l’ultima voce. Non verranno più erogati i 69 euro mensili fissi di premio. Al loro posto verrà istituito il Premio sociale di 827 euro pagato in welfare aziendale, ovvero in buoni spesa. Come detto si torna dunque al pagamento in natura.
Diritto di sciopero
L’accordo prevede un ulteriore giro di vite in merito alla libertà di scioperare. Esisteva già dal contratto precedente la “clausola di raffreddamento” che impediva nella sostanza di proclamare sciopero per questioni aziendali nei primi 3 giorni lavorativi dal sorgere del contenzioso. In questa tornata tale iter di raffreddamento è stato aumentato a 9 giorni lavorativi. Certo non sono presenti sanzioni qualora questi tempi venissero violati (a differenza di quanto previsto invece in FCA) ma perché accettare un ulteriore aggravamento di questo iter sindacale? A maggior ragione in un momento in cui è il diritto di sciopero in quanto tale ad essere sotto attacco da parte del padronato?
Jobs act e flessibilità
Sul tema del controllo a distanza e della videosorveglianza nel capitolo “Patrimonio e Know-how Aziendale” si accetta che “l’azienda opererà nel pieno rispetto delle normative”. Se a questo si aggiunge l’esplicito riferimento all’art.4 dello statuto dei lavoratori (che ricordiamo essere stato da poco modificato), risulta palese la volontà aziendale di utilizzare la normativa introdotta dal jobs act in materia di controllo a distanza. Volontà avallata dai sindacati.
Sull’orario di lavoro poi, la direzione aziendale si arroga la discrezionalità di decidere, previo un formale quanto inutile esame congiunto non vincolante con il sindacato, di spostare la mezz’ora di pausa mensa a fine turno ovunque lo riterrà necessario.
Appalti e investimenti: precarietà e rischio di esuberi
Per quanto poi riguarda gli appalti non vi è alcun vincolo inerente la clausola sociale, ma solo impegni vaghi sommati a pessimi propositi volti ad incentivare le aziende appaltatrici a sostituire il subappalto con l’impiego di lavoratori somministrati tramite appositi accordi con Agenzie di Lavoro. Insomma non si mette in discussione l’eterna gara alla precarietà più selvaggia in nome del basso costo della manodopera. A questo si aggiunge la volontà di re-internalizzare le parti della catena di valore a maggior valore aggiunto oggi date in appalto. Questa tendenza, ormai sempre più diffusa nelle multinazionali per aumentare i profitti, non essendo accompagnata da alcun piano di assunzione diretta di lavoratori, potrà significare una enorme quantità di esuberi nelle ditte appaltatrici. Questo spiega anche in parte perché, almeno sulla carta, venga garantita la saturazione di tutti i cantieri italiani. Se e dove dovranno esserci dei licenziamenti, i primi a farne le spese saranno i lavoratori di appalti e subappalti. Questo piano tuttavia pur garantendo prospettive di crescita fino al 2025 in alcun modo garantisce il futuro industriale dei cantieri lasciando inalterati tutti i problemi che sono attualmente presenti, ed anzi aggiungendone dei nuovi.
Quale portata ha la firma di questo contratto?
Da una disamina anche superficiale come la nostra viene da chiedersi quale sia la ragione che ha spinto la Fiom a sottoscrivere un accordo di questo genere. A maggior ragione la domanda sorge se si pensa che fino a poche ore prima della firma la delegazione dei meccanici Cgil dava per certa una rottura del tavolo. Solo l’intervento della segreteria nazionale della Fiom e le sue pressioni hanno determinato un altro epilogo. I presenti alla trattativa raccontano che al suo arrivo per sbloccare la situazione, il segretario Landini abbia detto “o abbiamo la forza di bloccare i cantieri oppure bisogna firmare questo accordo”.  Certamente non v’è dubbio che lo stato dei rapporti di forza sia una componente centrale nella gestione di una vertenza. Tuttavia sorgono spontanee almeno due obiezioni in proposito. In primo luogo chi può sapere con certezza l’esito dello scontro? È vero che la mobilitazione negli scorsi mesi è avvenuta a macchia di leopardo. Ma è altrettanto vero che dove le lotte si sono organizzate sul serio l’adesione è sempre stata più che buona. Quindi certamente il costruire una lotta “dura” avrebbe comportato, come sempre dei rischi, ma perché non tentare di nuovo provando magari a mettere in campo forme anche più dure di conflitto?
Secondariamente. Ammettiamo per un istante che effettivamente i cantieri siano stremati e non si riesca a sostenere la lotta. È questa una ragione sufficiente per sottoscrivere un accordo che rappresenta una vera e propria capitolazione alle volontà aziendali?
Se la logica diventasse questa, allora dovremmo firmare anche il contratto in FCA. Abbiamo per caso in Fiat i rapporti di forza per mettere a ferro e fuoco gli stabilimenti? Avevamo questi rapporti di forza quando decidemmo giustamente di non firmare a Pomigliano? No. Ma come ci siamo opposti allora, così avremmo dovuto opporci oggi e organizzare la lotta e la resistenza nei cantieri.
Pare evidente quindi che le ragioni che hanno spinto a firme questo accordo siano anche e soprattutto altre. Non vi è dubbio infatti che quanto oggi accade nel gruppo industriale più importante della metalmeccanica non può che avere un impatto determinante sulla vertenza del contratto nazionale. È evidente che se si fosse profilata, come molti pensavano, un’intesa separata questa avrebbe aperto al rischio di un analogo ennesimo epilogo anche con Federmeccanica. Piuttosto che correre questo rischio la Fiom nazionale ha preferito dare il segnale di essere disposta a rinunciare a molti dei propri principi pur di arrivare al raggiungimento di una intesa unitaria sul CCNL dando così ai padroni un segnale esplicito di enorme debolezza. Segnale che al contrario si sarebbe dovuto in ogni modo evitare di manifestare.
Enrico Marro, sempre molto bene informato, in un editoriale di qualche giorno fa ha preannunciato che Federmeccanica a breve riformulerà la propria proposta sul salario per riaprire la trattativa. Non crediamo che questa riformulazione cambierà di molto la sostanza ma la domanda che poniamo a tutto il gruppo dirigente della Fiom è il seguente: se a Fim e Uilm questa proposta, pur essendo palesemente inaccettabile, andasse bene noi cosa faremo? Saremo disposti come in Fincantieri a rinunciare ai nostri principi pur di firmare?
Perciò le ragioni che ci spingono ad invitare tutti i lavoratori di Fincantieri a votare NO all’ipotesi di accordo sono due.
Da un lato per respingere un evidente peggioramento delle proprie condizioni materiali. Dall’altro per dire a Fim e Uilm ma soprattutto alla Fiom che non si è  disposti ad accettare un contratto nazionale a perdere.
Serafino Biondo, Paolo Brini, Sasha Colautti, Eliana Como, Francesco Doro, Stefano Fontana, Antonio Santorelli.

https://sindacatounaltracosa.org/2016/07/07/accordo-fincantieri-si-torna-al-pagamento-in-natura/

martedì 5 luglio 2016

LA TRATTATIVA È IN STALLO?

Riceviamo e pubblichiamo:


L'ultimo incontro della DT con l'azienda risale al 16 giugno e da allora non è stata espressa e resa pubblica alcuna posizione ufficiale e conclusiva della RSU. La nostra posizione è invece molto chiara. 

L'atteggiamento dell'azienda è di totale chiusura su tutte le questioni che interessano i lavoratori:

- la proposta avanzata dall'azienda durante la riunione del 16 giugno sulle  due pause giornalieri da 10 minuti ciascuna è inaccettabile

- lo stesso per il piano delle chiusure definito e poi modificato sempre unilateralmente dall'azienda senza tenere conto delle esigenze dei lavoratori e per l'assenza di una risposta a chi ha chiesto di lavorare durante il periodo estivo

- l'inclusione dei part-time strutturali nel limite dei part-time per cura dei figli è arbitraria e serve solo a negare un diritto previsto chiaramente dal CCNL

- la politica di assumere e licenziare interinali a ogni minimo cambiamento dei programmi produttivi va contro l'interesse di tutti i lavoratori a vincolare l'azienda a una politica di assunzioni stabile e verificabile.

Per queste ragioni riteniamo che la RSU abbia in mano tutti gli elementi per considerare conclusa la discussione al tavolo di trattativa e rispondere alla chiusura dell'azienda con la mobilitazione dei lavoratori, rivendicando per l'immediato:

1) il ripristino delle pause nei reparti in cui l'azienda le ha ridotte e il loro mantenimento dove ancora si fanno come negli anni scorsi;

2) la conferma ai lavoratori che hanno dato la disponibilità a lavorare durante le chiusure estive;

3) L'applicazione del CCNL sul part-time.

5 luglio 2016

S. Cini, G. Garzella RSU

venerdì 1 luglio 2016

trasferta non retribuita fuori orario di lavoro





Riceviamo e pubblichiamo:

Da          Rsu
Per:        L. Lembi, G. Albertini, 
Cc:        Rsu
Data:        01/07/2016 11:28
Oggetto:        trasferta non retribuita fuori orario di lavoro

Buongiorno,

siamo venute a conoscenza di una gestione scorretta e non rispettosa della normativa contrattuale e degli accordi interni sulle trasferte. Ci risulta infatti che ad alcuni impiegati, nello specifico quelli appartenenti alla 7° categoria, non vengono retribuite le ore di viaggio quando queste, per esigenze aziendali, cadono  nel fine settimana o comunque al di fuori dell'orario di lavoro.
Chiediamo chiarimenti in merito.

Saluti,

S. Cini, G. Garzella RSU