di Eliana Como.
Di fronte agli esodi di massa di questi ultimi mesi è in gioco una partita decisiva, non soltanto per l’Europa come istituzione politica, ma per la sua stessa idea di civiltà, rispetto alla quale non c’è – né può esserci – nessuna soluzione facile. Nessuno si senta a posto perchè è ancora in grado di indignarsi di fronte a fotografie di bambini morti sulle spiagge o lanciati oltre un filo spinato o di fronte alle immagini di un intero popolo che cammina sui binari di un treno. Nessuno si senta assolto nemmeno dalla decisione della Germania di Angela Merkel, che improvvisamente apre le frontiere e programma l’accoglimento di centinaia di migliaia di profughi, prossimo esercito di riserva da sfruttare nelle fabbriche tedesche.
Quello che è in gioco non è quel che resta della nostra capacità di indignazione, né soltanto la drammatica emergenza di questi ultimi mesi. Esiste una situazione emergenziale, certo, che va denunciata e di fronte alla quale si deve intervenire il prima possibile, a cominciare dalla creazione immediata di canali umanitari. Ma il punto è più profondo e da anni non viene affrontato da nessuno dei paesi europei. Che le vie di transito siano il canale di Sicilia, i binari di Serbia e Ungheria piuttosto che le frontiere di Ventimiglia o le bianche scogliere di Dover, l’Europa non può essere in mano agli scafisti o a chi per loro e deve riconoscere la libera circolazione – non soltanto dei cittadini membri e delle tanto amate e care merci – ma anche di tutti gli uomini e di tutte le donne che la scelgono come metà. Che fuggano da guerre, dittature o fondamentalismi religiosi, da carestie o disastri climatici piuttosto che “semplicemente” dalla povertà e dalla miseria, l’Europa non deve essere una fortezza difesa da frontiere, filo spinato o muri di difesa, ma un territorio in cui a chiunque sia garantita accoglienza e libera circolazione, dignità, diritti e cittadinanza. Tanto più perchè gran parte di quelle guerre sono alimentate dalla stessa Europa e dai suoi principali alleati, gran parte di quelle carestie sono il prezzo che i paesi poveri pagano allo sviluppo incontrollato di quelli ricchi, gran parte di quella povertà è il risultato, nemmeno a dirlo, di secoli ininterrotti di colonialismo di tanti paesi europei.
Non ci sono soluzioni facili, ma non c’è dubbio che l’Europa debba affrontare e dare risposte a questo tema nella sua complessità e nella sua interezza – e non soltanto in termini emergenziali ed episodici, peraltro del tutto insufficienti. Sarà impopolare, ma il rischio è di franare nella deriva dell’intolleranza razzista, propagandata dai partiti di destra e fin troppo facilmente alimentata dalla crisi economica, oltre che dall’ignoranza.
PS: nei primi secoli dopo Cristo, l’Europa fu percorsa da inarrestabili migrazioni di popoli che si spostavano in cerca di un territorio abitabile, al seguito di intere carovane di donne e bambini. Ancora oggi, nell’immaginario comune, si definiscono quei secoli come il periodo delle “invasioni barbariche”, anche se l’impero Romano intraneva rapporti “normali” – non soltanto commerciali – con gran parte di quei popoli che premevano alle sue frontiere, al punto che i più importanti e valorosi generali dell’esercito romano di quegli anni furono “migranti” vandali e unni perfettamente integrati nell’impero e Roma, durante tutti quei secoli, fu realmente in pericolo soltanto due volte. Da quelle migrazioni – dei Franchi, dei Sassoni, degli Angli, dei Vandali, dei Longobardi (da cui deriva con buona pace di Salvini il nome della sua regione) – sono nati gran parte dei popoli europei e derivano le lingue che tuttora si parlano in larga parte d’Europa. E “barbaro” non significava “incivile” ma soltanto “colui che parla un’altra lingua”. Meglio rinfrescare la memoria ogni tanto….
http://sindacatounaltracosa.org/2015/09/03/senza-frontiere/
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