Lo scorso 8 marzo in Francia sono scese in piazza quasi mezzo milione di persone. Si, avete capito bene, quasi 500 mila persone in piazza mentre uno sciopero generale e le proteste degli studenti bloccavano trasporti, aziende e scuole. Tutto questo nel silenzio generale dei media italiani.
Un popolo in lotta, il “debutto di un movimento” come lo ha definito Le Monde, il secondo giornale di Francia, che si è scagliato contro la riforma del lavoro di Myriam El Kohmri, il ministro del Lavoro. Un intervento del Governo socialista che se dovesse essere approvato in primavera inciderà profondamente nel diritto del lavoro francese.Per il lettore italiano, tuttavia, tutto ciò risuonerà come un film già visto: le affinità con le riforme degli ultimi anni, dagli accordi di Pomigliano del 2011 fino al Jobs Act, sono sorprendenti. Chi sa che non sia per questo che i giornali di regime non danno notizia delle proteste francesi? D’altronde, se c’è un qualcosa che accomuna i paesi europei in questo momento storico, esso è stato pienamente riassunto da Myriam El-Khomri in un’intervista rilasciata al giornale Echos il 19 febbraio scorso: “L’obiettivo […] è quello di adattarsi ai bisogni delle imprese”. Punto. Ma se le suddette imprese sono le stesse che delocalizzano in Est Europa, in India, in Cina, in Turchia etc., “adattarsi ai loro bisogni” per noi lavoratori, vuol dire massacrarci gli uni con gli altri, in una guerra civile combattuta negli uffici, alle catene di montaggio, nei magazzini e nei supermercati, se non sul campo di battaglia vero e proprio, da almeno due miliardi di persone.
Ma andiamo a vederla nel dettaglio.....
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