venerdì 1 maggio 2015

Primo Maggio, giornata di lotta contro il lavoro

La chiamano Festa del Lavoro, eppure la storia del Primo Maggio affonda le sue radici nella lotta contro il lavoro. Quel giorno, nel 1886, furono centinaia di migliaia i lavoratori che a Chicago e in tutti gli Stati Uniti scioperarono per la riduzione della giornata lavorativa. In una lotta senza frontiere non si appellavano a costituzioni solenni o a codici scritti, rivendicavano 8 ore di lavoro e migliori condizioni di vita.

Oggi questa storia sembra dimenticata. L'approvazione dei decreti attuativi del Jobs Act provoca patetiche raccolte di firme per un nuovo Statuto dei Lavoratori. O, ancor peggio, appelli per la difesa di quello in via di cancellazione: un capolavoro d'ipocrisia parlamentare infarcito d'interclassismo e di riverenza verso i principi astratti della democrazia borghese, che è stato per decenni uno strumento di controllo sindacale dell'iniziativa operaia. Non ne piangeremo di certo la fine, e nemmeno grideremo all'offensiva padronale perchè, da quando è nato, il capitalismo è sempre all'attacco.

E' ormai chiaro che la borghesia, non sapendo più che pesci pigliare, si dedica al completo scorticamento del proletariato, riuscendo a togliergli tutte quelle garanzie che sono fonte di corruzione politica e opportunismo. In tal modo, paradossalmente ma non troppo, la borghesia stessa elimina quegli istituti che sono impedimento al libero manifestarsi della lotta rivendicativa. Via dunque i contratti di categoria a scadenza fissa, via le leggi di tutela, via persino la contrattazione locale ormai sostituita dal ricatto basato sulla religione del lavoro.
La crisi di sovrapproduzione mina alla base il sistema del lavoro salariato e fa vacillare le sovrastrutture che su di esso si fondano. Questo modo di produzione è oramai un contenitore che non corrisponde più al suo contenuto: macchine, computer e robot sostituiscono l'uomo nelle fabbriche (la cinese Foxconn ha annunciato che introdurrà 1.000.000 di robot nel suo apparato produttivo). In questo contesto rivendicare il "diritto al lavoro" in luogo del salario ai disoccupati è fuori da ogni logica, oltre che controproducente.
Con l'Expo di Milano capitalisti e sindacati non si sono lasciati sfuggire l'occasione, in nome della salvaguardia dell'economia nazionale, di legittimare la moderna schiavitù: il lavoro gratuito a norma di legge. Anche la Cgil ha firmato il protocollo che ne disciplina l'impiego durante i sei mesi dell'esposizione universale, dimostrandosi così del tutto incapace a comprendere che questo livello di passività mette in discussione la sua stessa esistenza. Al suo interno, l'opposizione di sinistra si indigna e fa appello alla Costituzione per contrastare la "piena ricattabilità del lavoro", alimentando rinnovate illusioni sull'imparzialità dello Stato nel conflitto tra le classi.
La battaglia contro il corporativismo è tale solo se rifiuta la concezione avvocatesca della lotta di classe. Movimentisti e sindacalisti si ostinano invece a basare la loro azione sulla politica dei diritti, e non fanno che rimpiangere il capitalismo rampante del passato, che ancora non aveva esaurito le sue possibilità di sviluppo e poteva concedere ai salariati garanzie come il posto di lavoro "fisso", la pensione, ecc.
L'unica alternativa all'accettazione passiva della deriva aziendalista del sindacato, è la rottura con la logica delle compatibilità e la riscoperta dei principi e dei metodi della lotta di classe. Chi se li fosse scordati, può vederli all'opera nelle lotte dei facchini della logistica, dove gli scioperi, senza preavviso e limiti di tempo, bloccano davvero produzione e distribuzione.
Oggi le relazioni tra gli uomini si dispongono a rete e la diffusione di Internet impone dei cambiamenti a livello organizzativo. Gruppi di lavoratori stanchi di farsi rubare la vita si organizzano in coordinamenti di lotta, aprono blog e siti, condividono informazioni sui social network, puntando più su reti di contatti che non su specifiche rivendicazioni. Con il sito Chicago86 cerchiamo di sostenere e diffondere tutte le esperienze di autorganizzazione di cui veniamo a conoscenza, dando risalto, dove il sindacalismo odierno esalta specificità e particolarità, all'unità di classe al di sopra delle nazionalità, delle categorie e di ogni divisione tra lavoratori. Per questo motivo campeggia in grande nella nostra home page lo slogan "Proletari di tutto il mondo, unitevi!"
L'esigenza di un organismo di lotta che sappia unire tutti i lavoratori - sindacalizzati e non, precari, disoccupati e sfruttati di ogni genere - sullo stile di Occupy Wall Street, è sempre più diffusa. Come è accaduto a fine '800 con le società di mutuo soccorso, cominciano a prendere piede comunità in lotta per la sopravvivenza. Ma c'è una differenza sostanziale tra le strutture sorte nell'epoca della manifattura e quelle che emergono al tempo di Internet: mentre le prime nascevano per sopperire alla mancanza di Welfare State, le odierne comunità di senza riserve nascono come reazione alla sua dissoluzione. E se fino a qualche tempo fa le burocrazie sindacali monopolizzavano il flusso delle informazioni in arrivo dalla base decidendo chi doveva sapere cosa, oggi ci sono le reti sociali e il flusso è orizzontale, fatto di nodi, legami forti e legami deboli.
In Italia il movimento per lo "sciopero sociale" ha cercato di riprodurre sul territorio la modalità Occupy. Per adesso è mancato il coraggio di sperimentare percorsi di lotta veramente inclusivi, radicali e leaderless. Pensiamo che tali incertezze siano dovute ad una sottovalutazione della crisi sistemica del capitalismo e delle sue conseguenze, dovuta allo scarto tra la realtà delle cose e la percezione che si ha di essa. Eppure i dati che arrivano dagli istituti di ricerca non lasciano dubbi: l'ultima indagine della Caritas conta in Italia sei milioni di poveri assoluti e un milione circa di affamati, mentre nel rapporto "Grandi disuguaglianze crescono" di Oxfam si stima che nel 2016 più della metà della ricchezza globale sarà in mano all'1% della popolazione.
La crisi in corso non è di tipo congiunturale, le condizioni di vita non faranno che peggiorare. Da questa situazione si uscirà solo se i salariati saranno in grado di ricomporre la loro rete di classe, che oggi più che mai non può essere per mestiere o per luoghi di lavoro ma territoriale. Per semplice appartenenza a una classe mondiale, la stessa che a Chicago nel 1886 lottava orgogliosamente contro il sistema del lavoro salariato.
Ch86


Primo Maggio, giornata di lotta contro il lavoro

Nessun commento:

Posta un commento