Pubblichiamo l’articolo di Giorgio Cremaschi, associandoci alla solidarietà e al sostegno al compagno Mimmo Mignano.
Mentre scrivo Mimmo Mignano sta rischiando la vita, sono quindi poco disposto ai giri di parole.
Domenico Mignano è un operaio dello stabilimento Fiat-FCA di Nola che Marchionne, non direttamente ma attraverso chi esegue i suoi ordini, ha licenziato nel giugno 2014. Da allora Mimmo fa la fame assieme alla sua famiglia, anche se neppure prima, vivendo della sola cassa integrazione, si può dire che stesse bene. Ora Mimmo è salito in cima ai cento metri della pericolante torre ultimo residuo della Italsider di Bagnoli e da lì, tra i venti e le griglie di appoggio che pericolosamente scricchiolano, chiede giustizia.
Domenico Mignano è un operaio dello stabilimento Fiat-FCA di Nola che Marchionne, non direttamente ma attraverso chi esegue i suoi ordini, ha licenziato nel giugno 2014. Da allora Mimmo fa la fame assieme alla sua famiglia, anche se neppure prima, vivendo della sola cassa integrazione, si può dire che stesse bene. Ora Mimmo è salito in cima ai cento metri della pericolante torre ultimo residuo della Italsider di Bagnoli e da lì, tra i venti e le griglie di appoggio che pericolosamente scricchiolano, chiede giustizia.
Il 5 di aprile presso il tribunale di Nola ci sarà il giudizio sul licenziamento di Mignano e di altri quattro operai del comitato di lotta del cassaintegrati. Ma perché Mimmo e i suoi compagni sono stati licenziati? Per saperlo bisogna parlare di Maria Baratto e del reparto confino di Nola. In questo stabilimento la Fiat ha da tempo concentrato coloro che non vuole far lavorare, ma che non può per ragione di legge e di immagine licenziare tutti assieme. Sono oltre trecento persone concentrate in un ghetto che serve da esempio terroristico verso tutti gli altri operai: attento che se dai fastidio finisci lì.
A Nola la ragione sociale aziendale è la discriminazione e l’umiliazione delle persone e viene retribuita con una misera cassa integrazione mensile. Per anni ed anni. Chi sta a Nola è iscritto in una lista nera, nessuno mai lo assumerà, ammesso che nella provincia di Napoli ci siano ancora posti di lavoro disponibili. Insomma la sola prospettiva a cui Marchionne ha condannato questi trecento operai è di vivere sempre “sull’orlo del burrone del licenziamento”. Queste ultime sono le parole usate da Maria Baratto il 2 agosto del 2012, dopo il tentativo di suicidio di Carmine P. cassaintegrato di Nola. Maria commentava così questo e altri suicidi avvenuti tra questo gruppo di discriminati totali. E accusava le complicità istituzionali, politiche a anche dei sindacati confederali che permettevano questo scempio dei diritti e della dignità umana. Maria concludeva il suo messaggio invitando a resistere e a non uccidersi, ma dopo due anni non ce l’ha fatta più. Il 21 maggio del 2014, quando era sola in casa, si è riempita il ventre di coltellate e si è uccisa. Solo quattro giorni dopo la morte il suo povero corpo martoriato è stato rinvenuto. Allora Mimmo e gli altri hanno deciso una protesta fuori dal comune, per la tragedia avvenuta e per le altre che si preparano. I cinque operai hanno inscenato una rappresentazione. Si sono sdraiati macchiati di finto sangue davanti allo stabilimento Fiat e hanno mostrato il manichino di un suicida con la maschera di Marchionne. Una reazione umana dignitosa, qualcuno potrebbe dire persino di dura satira. Ma Il capo Fiat ed i suoi sottoposti scarseggiano di capacità di comprensione, così come di umana pietà e hanno reagito con il licenziamento. Non una parola di dolore è venuta dalla Fiat per le persone che si sono uccise, ma in compenso gli uffici stampa si sono sprecati a spiegare quanto sia importante il rispetto per il capo dell’azienda.
I licenziati non hanno sabotato gli impianti, non si sono ribellati agli ordini, non hanno fatto niente contro la produzione, hanno solo manifestato davanti alla fabbrica da cui il padrone li tiene fuori da sempre. Non c’è stato reato, non c’è stato danno materiale nella protesta degli operai, ma per Marchionne essa doveva essere colpita in modo esemplare, proprio per imporre un ossequio verso il padrone pari a quello che si doveva al barone medioevale. Così il padrone Fiat ha affermato la proprietà dei comportamenti , delle opinioni e delle stesse vite dei suoi dipendenti dentro e fuori la fabbrica.
Se Marchionne fosse capo di governo e applicasse le regole Fiat al paese sarebbe semplicemente un dittatore, e mi sa che sia per questo che Renzi lo ama e lo invidia.
Finora Mimmo ed i suoi non hanno avuto giustizia, né il loro licenziamento ha suscitato lo scandalo che avrebbe dovuto suscitare. Gran parte del mondo che si indigna sempre non appena venga violata qualche libertà nei quartieri alti, ha semplicemente ignorato questa violenza liberticida contro semplici operai. Il tribunale di Nola, che è ben conosciuto perché dà sempre ragione ad una Fiat che guarda caso ha insediato lì gli stabilimenti che considera offshore, quel tribunale finora ha negato a Mimmo e ai suoi compagni il diritto al lavoro. Per questo ora Mimmo rischia la vita a cento metri di altezza.
Stare con Mimmo è una discriminante morale prima che sindacale o politica. Se una persona è retta sta con lui e disprezza Marchionne e tutto il male che rappresenta e produce. Dobbiamo far sì che questo sentimento diventi azione sociale, politica e alla fine giustizia.
di Giorgio Cremaschi
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