martedì 6 ottobre 2015

Cgil in Expo: direttivo a piede libero


Sergio Bellavita.
Il bilancio della giornata del direttivo nazionale in Expo a Milano non è certo dei più lusinghieri per la segreteria nazionale. Oltre all’annunciata assenza di Landini e dell’intera area Democrazia e Lavoro nel bilancio ci sono cinque denunce a suoi dirigenti per resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata, rei di aver manifestato democraticamente il proprio dissenso verso Expo. Susanna Camusso era assolutamente consapevole dei rischi e delle conseguenze della scelta di portare il massimo organismo dirigente della Cgil dentro Expo, come le abbiamo detto direttamente all’uscita del posto di polizia dove, insieme a parte della segreteria ed ad altri dirigenti, attendeva la nostra liberazione. Il trattamento che ci è stato riservato dalle forze di sicurezza interna e dalla polizia non è stato dei più teneri considerato che abbiamo semplicemente esposto uno striscione contro Expo e volantinato contro il lavoro gratuito e precario. Sapevamo certo che molto probabilmente ci avrebbero chiesto di chiudere lo striscione e che ci avrebbero invitato a uscire dalla fiera ma non potevamo immaginare di venire condotti via a forza, tra lo stupore dei visitatori, per passare tre ore nel posto di polizia e uscirne con una denuncia. Come sempre noi ci assumiamo la piena responsabilità della nostra scelta di contestare Expo e la scelta del direttivo dentro i suoi confini militarizzati, tuttavia, sebbene la presenza della segretaria generale Camusso fuori dal posto di polizia è per noi significativa, quanto accaduto testimonia esattamente la gravità di questa scelta. Così come continuiamo a pensare che la responsabilità di una giornata così negativa per la Cgil vada per intero alla segreteria nazionale. Se davvero si vogliono incontrare i lavoratori e provare ad organizzare i loro bisogni non c’è alcuna necessità di noleggiare un padiglione nella fiera dello sfruttamento, in uno dei luoghi simbolo, quasi laboratorio, delle nuove forme della precarietà del lavoro. Noi dovremmo organizzare il dissenso al modello sociale ed economico delle grandi opere, della devastazione del territorio, non un tour guidato interno ai suoi padiglioni.

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