Prossima settimana a Milano, la Cgil terrà la Conferenza di Programma, dedicata al tema dell’innovazione tecnologica, il lavoro che cambia, la contrattazione nell’industria 4.0. Si intitola Buon lavoro. Accidenti, che tempismo. E che drammatica coincidenza.
Si parla di innovazione a Milano, capitale della finanza e della comunicazione, quella che avrebbe dovuto diventare sede europea dell’agenzia del farmaco. La stessa città dove in meno di 10 giorni sono morte sette persone nel modo più vecchio possibile. Quattro operai morti soffocati dal gas in un pozzo. Tre donne morte stamattina in un treno di pendolari perché hanno ceduto le rotaie di un treno regionale da paese del terzo mondo (credetemi io quella linea, mio malgrado, la faccio spessissimo).
Il mondo del lavoro cambia, certo, ma rischiamo di inseguire i cambiamenti così come vengono imposti dal pensiero dominante, che è quello del capitale e del neoliberismo. E non sono mica sicura che i problemi che abbiamo di fronte oggi siano poi tanto nuovi e soprattutto che le risposte di cui abbiamo bisogno non siano invece proprio quelle vecchie.
Non soltanto perché anche in una città come Milano si continua a morire sul lavoro come negli anni 50. Ma perché la retorica della trasformazione, dell’innovazione e del lavoro che cambia la sento da vent’anni ed è servita fino a ora solo a retrocedere su diritti e salario. A far passare l’idea che il sindacato difendeva dei privilegi, mettendo i giovani contro gli anziani e i lavoratori a tempo indeterminato contro i precari. A diffondere un clima di demoralizzazione, di volta in volta spiegando che il mondo era cambiato, la classe operaia non esisteva più e il conflitto era archeologia industriale. A imporre il diktat della produttività a tutti i costi, passando dalla porta stretta della maggiore partecipazione. E a alimentare l’idea falsa di una maggiore autonomia del lavoro contro la rigidità del vecchio fordismo, l’illusione di un maggiore controllo sugli orari e sulla prestazione. Con l’effetto, invece, che nelle grandi fabbriche aumentano i ritmi, i carichi di lavoro e la velocità delle linee e il controllo, grazie sì alla digitalizzazione e all’innovazione tecnologica, è ancora più invasivo e disumano.
Più che interrogarsi su come cambia il mondo del lavoro e di quale contrattazione avremmo bisogno nell’industria 4.0, dovremmo, allora, avere il coraggio di fare un bilancio serio della stagione contrattuale di questi ultimi anni, dove non è cresciuto il salario (in tutte le categorie, ma nei metalmeccanici meno che niente) e sono peggiorati i diritti, ingabbiando la contrattazione aziendale, aumentando la flessibilità e in alcuni casi l’orario di lavoro. Non mi sembrano soluzioni particolarmente innovative! Così come non si sembra una soluzione particolarmente nuova l’idea – anzi proprio antica – di sostituire parti del salario con il welfare integrativo e i buoni benzina. O di tagliare diritti vecchi come la malattia (nei servizi) e la legge 104 (nel nostro contratto).
Facciamolo questo bilancio. E ben venga la proposta della segretaria generale della Fiom di fare una analisi seria e soprattutto serena della contrattazione aziendale. Ne abbiamo proprio bisogno. Così poi vediamo se è vero, come è stato detto nell’introduzione, che le aziende non stanno mica chiedendo più di tanto il welfare e che invece si continuano a contrattare premi fissi. Vediamo se è vero che Metasalute incentiva l’utilizzo della sanità pubblica invece che privata. A me non pare proprio, visto anche che scegliendo il privato i lavoratori non devono nemmeno anticipare il costo del ticket, oltre a non avere tempi di attesa biblici. Però vediamo, magari questa è solo la mia percezione, chissà. La segretaria avrà sicuramente il polso molto più di me. Ma facciamola una analisi seria. E poi facciamo anche il bilancio, prima o poi.
Subito, invece, visto che in questo Comitato centrale si sta parlando di contrattazione, vorrei che mi diceste che facciamo rispetto al fatto che la trattativa tra Cgil Cisl Uil e Confindustria sul modello contrattuale sta andando avanti. Non vorrei trovarmi tra pochi giorni, come penso, con un accordo bell’e servito, firmato dalla Cgil. Che significa che ieri hanno terminato i tavoli tecnici? Come si è potuto andare avanti a trattare sul testo proposto da Confindustria! Un testo che tutti in questo Comitato centrale abbiamo giudicato irricevibile. Che facciamo? Stiamo qui in attesa di un accordo? Perché questo Comitato centrale non si esprime chiaramente su questo? Io davvero altrimenti non capisco a cosa serve la discussione di oggi.
Tornando, al punto: nel direttivo nazionale, Susanna Camusso ha detto che la Conferenza di Programma forse non darà risposte ma deve servire a porre le domande giuste. Ecco, io penso che la domanda sia proprio sbagliata. Il sindacato deve cambiare, certo. Ma forse invece che inventarci qualcosa di nuovo, sarebbe meglio tornare a fare quello che si faceva in passato. È il vecchio e sano conflitto che ci serve. Non abbiamo bisogno di un sindacato nuovo ma di un sindacato di classe, autonomo dalle istituzioni e soprattutto dagli interessi del capitale. Un sindacato che torni a fare i picchetti ai cancelli. Questa sarebbe la vera innovazione. Altro che discutere, come ha detto Redavid nell’introduzione, di esigibilità degli accordi, per dare alle imprese l’ennesimo strumento di controllo sugli scioperi e sull’autonomia delle Rsu.
A proposito di conflitto. Ma dove è finita la continuità che dovevamo dare alle mobilitazione del 2 dicembre sulle pensioni? Non c’è più niente! Non è più un tema all’ordine del giorno, né in Cgil né qui in questo Comitato centrale.
Si parla di innovazione a Milano, capitale della finanza e della comunicazione, quella che avrebbe dovuto diventare sede europea dell’agenzia del farmaco. La stessa città dove in meno di 10 giorni sono morte sette persone nel modo più vecchio possibile. Quattro operai morti soffocati dal gas in un pozzo. Tre donne morte stamattina in un treno di pendolari perché hanno ceduto le rotaie di un treno regionale da paese del terzo mondo (credetemi io quella linea, mio malgrado, la faccio spessissimo).
Il mondo del lavoro cambia, certo, ma rischiamo di inseguire i cambiamenti così come vengono imposti dal pensiero dominante, che è quello del capitale e del neoliberismo. E non sono mica sicura che i problemi che abbiamo di fronte oggi siano poi tanto nuovi e soprattutto che le risposte di cui abbiamo bisogno non siano invece proprio quelle vecchie.
Non soltanto perché anche in una città come Milano si continua a morire sul lavoro come negli anni 50. Ma perché la retorica della trasformazione, dell’innovazione e del lavoro che cambia la sento da vent’anni ed è servita fino a ora solo a retrocedere su diritti e salario. A far passare l’idea che il sindacato difendeva dei privilegi, mettendo i giovani contro gli anziani e i lavoratori a tempo indeterminato contro i precari. A diffondere un clima di demoralizzazione, di volta in volta spiegando che il mondo era cambiato, la classe operaia non esisteva più e il conflitto era archeologia industriale. A imporre il diktat della produttività a tutti i costi, passando dalla porta stretta della maggiore partecipazione. E a alimentare l’idea falsa di una maggiore autonomia del lavoro contro la rigidità del vecchio fordismo, l’illusione di un maggiore controllo sugli orari e sulla prestazione. Con l’effetto, invece, che nelle grandi fabbriche aumentano i ritmi, i carichi di lavoro e la velocità delle linee e il controllo, grazie sì alla digitalizzazione e all’innovazione tecnologica, è ancora più invasivo e disumano.
Più che interrogarsi su come cambia il mondo del lavoro e di quale contrattazione avremmo bisogno nell’industria 4.0, dovremmo, allora, avere il coraggio di fare un bilancio serio della stagione contrattuale di questi ultimi anni, dove non è cresciuto il salario (in tutte le categorie, ma nei metalmeccanici meno che niente) e sono peggiorati i diritti, ingabbiando la contrattazione aziendale, aumentando la flessibilità e in alcuni casi l’orario di lavoro. Non mi sembrano soluzioni particolarmente innovative! Così come non si sembra una soluzione particolarmente nuova l’idea – anzi proprio antica – di sostituire parti del salario con il welfare integrativo e i buoni benzina. O di tagliare diritti vecchi come la malattia (nei servizi) e la legge 104 (nel nostro contratto).
Facciamolo questo bilancio. E ben venga la proposta della segretaria generale della Fiom di fare una analisi seria e soprattutto serena della contrattazione aziendale. Ne abbiamo proprio bisogno. Così poi vediamo se è vero, come è stato detto nell’introduzione, che le aziende non stanno mica chiedendo più di tanto il welfare e che invece si continuano a contrattare premi fissi. Vediamo se è vero che Metasalute incentiva l’utilizzo della sanità pubblica invece che privata. A me non pare proprio, visto anche che scegliendo il privato i lavoratori non devono nemmeno anticipare il costo del ticket, oltre a non avere tempi di attesa biblici. Però vediamo, magari questa è solo la mia percezione, chissà. La segretaria avrà sicuramente il polso molto più di me. Ma facciamola una analisi seria. E poi facciamo anche il bilancio, prima o poi.
Subito, invece, visto che in questo Comitato centrale si sta parlando di contrattazione, vorrei che mi diceste che facciamo rispetto al fatto che la trattativa tra Cgil Cisl Uil e Confindustria sul modello contrattuale sta andando avanti. Non vorrei trovarmi tra pochi giorni, come penso, con un accordo bell’e servito, firmato dalla Cgil. Che significa che ieri hanno terminato i tavoli tecnici? Come si è potuto andare avanti a trattare sul testo proposto da Confindustria! Un testo che tutti in questo Comitato centrale abbiamo giudicato irricevibile. Che facciamo? Stiamo qui in attesa di un accordo? Perché questo Comitato centrale non si esprime chiaramente su questo? Io davvero altrimenti non capisco a cosa serve la discussione di oggi.
Tornando, al punto: nel direttivo nazionale, Susanna Camusso ha detto che la Conferenza di Programma forse non darà risposte ma deve servire a porre le domande giuste. Ecco, io penso che la domanda sia proprio sbagliata. Il sindacato deve cambiare, certo. Ma forse invece che inventarci qualcosa di nuovo, sarebbe meglio tornare a fare quello che si faceva in passato. È il vecchio e sano conflitto che ci serve. Non abbiamo bisogno di un sindacato nuovo ma di un sindacato di classe, autonomo dalle istituzioni e soprattutto dagli interessi del capitale. Un sindacato che torni a fare i picchetti ai cancelli. Questa sarebbe la vera innovazione. Altro che discutere, come ha detto Redavid nell’introduzione, di esigibilità degli accordi, per dare alle imprese l’ennesimo strumento di controllo sugli scioperi e sull’autonomia delle Rsu.
A proposito di conflitto. Ma dove è finita la continuità che dovevamo dare alle mobilitazione del 2 dicembre sulle pensioni? Non c’è più niente! Non è più un tema all’ordine del giorno, né in Cgil né qui in questo Comitato centrale.
Ultima cosa. Cambio discorso, ma ho bisogno di un chiarimento, dalla segretaria e dalla segreteria. Pochi giorni fa, il segretario della Fiom di Chieti e il segretario della Fiom Abruzzo, hanno revocato la delega (o sospeso, non mi è chiaro, ma non mi pare meno grave) a tutta la Rsa Fiom dello stabilimento Sevel in val di Sangro. Tutta. Bontà loro, hanno mantenuto soltanto un delegato per turno, due dei quali, comprensibilmente, si sono a loro volta autosospesi. Sia chiaro: con tanto di comunicazione alla azienda. Tanto che il lunedì mattina, la direzione ha convocato Fim Uilm e capi Ute per dire “la Fiom qui non c’è più”. Cancellata dal segretario generale! Già ieri, uno degli Rls (il più votato nelle elezioni) non ha potuto partecipare a una riunione sulla sicurezza, perché, con la sospensione della delega, l’azienda gli ha negato l’agibilità. Sono sicura che tutti capite la gravità delle cose che sto raccontando.
Io non entro nel merito delle ragioni. Nel sms che è stato inviato ai delegati per informarli della decisione (un sms!) si spiega che il motivo è che il venerdì prima la Rsa ha boicottato una riunione. Ripeto, potrei farlo, ma non entro nel merito. Non spetta a me. Lo faranno loro.
Ma chiedo come è possibile che due segretari, territoriale e regionale, possano permettersi di revocare la delega all’intera Rsa, comunicandolo all’azienda e di fatto azzerando la nostra rappresentanza in quella fabbrica. Evidentemente considerano l’organizzazione di loro proprietà. Oltre, altrettanto evidentemente, a ignorare le regole del nostro Statuto.
Non mi rispondete che il 29 i due segretari hanno convocato una riunione per chiarire la situazione. I due segretari devono ritirare subito questa decisione. Auspico, certo, anche io che ci sia un chiarimento politico, ma, ripeto, anche non entrando nel merito, chiedo che chiarimento può esserci con un ricatto di questo tipo sulla testa. Prima ti sospendo, poi ti chiedo il chiarimento.
Che sia chiaro. Non sono stati sospesi soltanto i compagni dell’area. Se qualcuno mentre parlo sta pensando questo, sbaglia. E’ stata sospesa l’intera Rsa. Questo va persino oltre il normale rispetto del pluralismo
Ed è un gravissimo e intollerabile precedente. Politico e statutario. Politico perché vi ricordo che questo stesso Comitato centrale ha deciso che le Rsa in Fca erano imposte da Marchionne, ma noi le avremmo comunque fatte votare tramite gli Rls e avremmo a tutti gli effetti considerato i delegati come Rsu, come tali non revocabili di punto in bianco per decisione di un segretario.
E statutario, perché vi ricordo che il nostro Statuto prevede che le segreterie intervengano direttamente e senza interpellare gli organismi competenti soltanto in casi particolarmente gravi. Ve lo ricordate l’art.3? Un segretario può prendere provvedimenti se ti becca a una manifestazione di fascisti! Non se boicotti una riunione.
E aggiungo che se un segretario non riesce a convocare nemmeno una riunione, forse dovrebbe farsi qualche domanda e dimettersi lui, invece che dimettere i delegati.
Altrimenti facciamo come diceva Brecht. Poiché il popolo non è d’accordo, il Comitato centrale ha deciso: cambiamo il popolo!
Io non entro nel merito delle ragioni. Nel sms che è stato inviato ai delegati per informarli della decisione (un sms!) si spiega che il motivo è che il venerdì prima la Rsa ha boicottato una riunione. Ripeto, potrei farlo, ma non entro nel merito. Non spetta a me. Lo faranno loro.
Ma chiedo come è possibile che due segretari, territoriale e regionale, possano permettersi di revocare la delega all’intera Rsa, comunicandolo all’azienda e di fatto azzerando la nostra rappresentanza in quella fabbrica. Evidentemente considerano l’organizzazione di loro proprietà. Oltre, altrettanto evidentemente, a ignorare le regole del nostro Statuto.
Non mi rispondete che il 29 i due segretari hanno convocato una riunione per chiarire la situazione. I due segretari devono ritirare subito questa decisione. Auspico, certo, anche io che ci sia un chiarimento politico, ma, ripeto, anche non entrando nel merito, chiedo che chiarimento può esserci con un ricatto di questo tipo sulla testa. Prima ti sospendo, poi ti chiedo il chiarimento.
Che sia chiaro. Non sono stati sospesi soltanto i compagni dell’area. Se qualcuno mentre parlo sta pensando questo, sbaglia. E’ stata sospesa l’intera Rsa. Questo va persino oltre il normale rispetto del pluralismo
Ed è un gravissimo e intollerabile precedente. Politico e statutario. Politico perché vi ricordo che questo stesso Comitato centrale ha deciso che le Rsa in Fca erano imposte da Marchionne, ma noi le avremmo comunque fatte votare tramite gli Rls e avremmo a tutti gli effetti considerato i delegati come Rsu, come tali non revocabili di punto in bianco per decisione di un segretario.
E statutario, perché vi ricordo che il nostro Statuto prevede che le segreterie intervengano direttamente e senza interpellare gli organismi competenti soltanto in casi particolarmente gravi. Ve lo ricordate l’art.3? Un segretario può prendere provvedimenti se ti becca a una manifestazione di fascisti! Non se boicotti una riunione.
E aggiungo che se un segretario non riesce a convocare nemmeno una riunione, forse dovrebbe farsi qualche domanda e dimettersi lui, invece che dimettere i delegati.
Altrimenti facciamo come diceva Brecht. Poiché il popolo non è d’accordo, il Comitato centrale ha deciso: cambiamo il popolo!
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