Non si migliorano le condizioni di lavoro di nessuno, se non si mette in discussione il più generale sfruttamento delle donne.
In queste settimane, dentro gli appuntamenti di movimento come in tutte le strutture CGIL, abbiamo sostenuto la mobilitazione per uno sciopero internazionale delle donne il prossimo 8 marzo. Lo abbiamo chiesto, insieme a altri compagni e compagne, anche all’ultimo Comitato Direttivo della CGIL (10 febbraio 2017).Qui sotto, potete quindi trovare un intervista a Eliana Como, componente del Comitato direttivo CGIL per il Sindacatoaltracosa-OpposizioneCGIL, uscita proprio il 10 febbraio 2017 su corriere.it, nella ventisettesima ora (a cura di Barbara Bonomi Romagnoli).
8 MARZO – LO SCIOPERO DELLE DONNE «ECCO PERCHÉ FARLO ANCHE IN ITALIA»
Cosa significa sciopero globale? Significa che ovunque le donne si asterranno da ogni forma – garantita, precaria, sottopagata, non riconosciuta – di lavoro produttivo, riproduttivo e di cura, non solo per dare un segnale chiaro nella lotta alla violenza fisica e psicologia sulle donne, ma anche per far valere il proprio peso nella comunità umana.
I movimenti si sono rivolti a tutti sindacati chiedendo di indire lo sciopero generale nella data dell’8 marzo. Le sigle autonome e di base lo hanno fatto. La Cgil invece sembrerebbe non aver preso in considerazione l’ipotesi. Eppure ci sono molte sindacaliste, anche della Cgil, che partecipano al percorso di Nudm e alcune caldeggiano vivamente la scelta dello sciopero. «Dopo tanti anni, l’8 marzo non sarà soltanto la giornata della retorica. Così come non lo è stato lo scorso 25 novembre, con le scarpette rosse sui profili di facebook o nei negozi in centro, ma sarà una eccezionale giornata di mobilitazione in cui le donne sono protagoniste – afferma Eliana Como, del comitato centrale della Fiom e del direttivo nazionale della Cgil, sindacalista dell’area “Il sindacato è un’altra cosa” .
«C’è un tempo per piangere e un tempo per indignarsi. C’è anche un tempo per denunciare. Ma poi deve esserci un tempo per provare a cambiare le cose e mettere in discussione alla radice un intero sistema. Abbiamo superato l’approccio vittimistico sul tema della violenza e lo abbiamo sostituito con l’autodeterminazione, la partecipazione, la rivendicazione, la lotta. Il rischio è che alla fine non cambi niente e che la violenza sia condannata a parole ma tollerata nei fatti. Per questo l’8 marzo sarà una giornata di sciopero. Ci provammo già nel 2013. Era giusto anche allora, ma forse i tempi non erano maturi. Ora lo sono, anche perché l’esperienza italiana non è isolata. Anche per questo, non possiamo permetterci di perdere questo appuntamento».
Scrivono le donne di Non Una Di Meno: «Scioperiamo per rivendicare un reddito di autodeterminazione, per uscire da relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà, perché non accettiamo che ogni momento della nostra vita sia messo al lavoro; un salario minimo europeo, perché non siamo più disposte ad accettare salari da fame, né che un’altra donna, spesso migrante, sia messa al lavoro nelle case e nella cura in cambio di sotto-salari e assenza di tutele; un welfare per tutte e tutti organizzato a partire dai bisogni delle donne, che ci liberi dall’obbligo di lavorare sempre di più e più intensamente per riprodurre le nostre vite».
Sei d’accordo?
«Sì, e credo che le discriminazioni delle donne sui posti di lavoro siano funzionali alla loro oppressione nella società: con questo non voglio dire che la violenza contro le donne appartenga soltanto a uno strato sociale, non è così e spesso la subiscono anche professioniste affermate. Il punto però è mettere in discussione l’intero sistema. Non basta dire che siamo contro la violenza, se poi accettiamo che le donne siano sempre pagate meno e più discriminate sui posti di lavoro. Senza considerare che per tante donne liberarsi da situazioni di violenza all’interno delle famiglie è difficile proprio perché non sono in condizione di rendersi autonome economicamente, perché hanno un salario basso, un lavoro precario e incerto, magari una pensione da fame anche se è tutta la vita che faticano».
«Sì, e credo che le discriminazioni delle donne sui posti di lavoro siano funzionali alla loro oppressione nella società: con questo non voglio dire che la violenza contro le donne appartenga soltanto a uno strato sociale, non è così e spesso la subiscono anche professioniste affermate. Il punto però è mettere in discussione l’intero sistema. Non basta dire che siamo contro la violenza, se poi accettiamo che le donne siano sempre pagate meno e più discriminate sui posti di lavoro. Senza considerare che per tante donne liberarsi da situazioni di violenza all’interno delle famiglie è difficile proprio perché non sono in condizione di rendersi autonome economicamente, perché hanno un salario basso, un lavoro precario e incerto, magari una pensione da fame anche se è tutta la vita che faticano».
Quali sono le vertenze aperte in questo momento in Italia che riguardano in particolare le donne?
«Nel settore in cui lavoro c’è un tema generale che riguarda la condizione delle donne, soprattutto delle operaie. Nelle fabbriche metalmeccaniche italiane, le donne sono circa il 20% della forza lavoro. Non ci sono donne nelle fonderie o nei cantieri navali, ma in tanti comparti manifatturieri sono la maggioranza. Basti pensare all’elettrodomestico, all’elettronica, al motociclo ma anche all’automobile. In particolare le operaie sono impiegate sulle linee di montaggio, dove, guarda caso, le operazioni sono meno qualificate e i livelli salariali più bassi. Un tema che si affronta pochissimo, in questo settore in particolare ma anche negli altri: la salute e la sicurezza delle donne nei posti di lavoro. Concetti che non sono affatto “neutri”, ma vengono perlopiù trattati come tali. C’è differenza tra i corpi degli uomini e delle donne. Eppure, i Dpi (dispositivi di protezione individuale: guanti, occhiali, cuffie etc) sono “neutri”, cioè pensati tutti, uomini e donne. E quando si dice che sono neutri, nelle fabbriche metalmeccaniche significa in realtà che sono pensati per gli uomini. Poi le donne si dovranno adattare. Non si parla mai nemmeno di salute riproduttiva. Aldilà di ogni altra considerazione, quando è uscita la campagna sul Fertility Day a nessuno è venuto in mente di parlare del rapporto tra condizioni di lavoro e fertilità/maternità (lavoro notturno, turni di sabato e domenica, catena di montaggio)».
«Nel settore in cui lavoro c’è un tema generale che riguarda la condizione delle donne, soprattutto delle operaie. Nelle fabbriche metalmeccaniche italiane, le donne sono circa il 20% della forza lavoro. Non ci sono donne nelle fonderie o nei cantieri navali, ma in tanti comparti manifatturieri sono la maggioranza. Basti pensare all’elettrodomestico, all’elettronica, al motociclo ma anche all’automobile. In particolare le operaie sono impiegate sulle linee di montaggio, dove, guarda caso, le operazioni sono meno qualificate e i livelli salariali più bassi. Un tema che si affronta pochissimo, in questo settore in particolare ma anche negli altri: la salute e la sicurezza delle donne nei posti di lavoro. Concetti che non sono affatto “neutri”, ma vengono perlopiù trattati come tali. C’è differenza tra i corpi degli uomini e delle donne. Eppure, i Dpi (dispositivi di protezione individuale: guanti, occhiali, cuffie etc) sono “neutri”, cioè pensati tutti, uomini e donne. E quando si dice che sono neutri, nelle fabbriche metalmeccaniche significa in realtà che sono pensati per gli uomini. Poi le donne si dovranno adattare. Non si parla mai nemmeno di salute riproduttiva. Aldilà di ogni altra considerazione, quando è uscita la campagna sul Fertility Day a nessuno è venuto in mente di parlare del rapporto tra condizioni di lavoro e fertilità/maternità (lavoro notturno, turni di sabato e domenica, catena di montaggio)».
Perché non fare anche solo 2 ore di sciopero?
«Sono settimane che Non Una Di Meno ha lanciato l’appello per lo sciopero generale. Se la Cgil non lo proclama è perché manca la volontà. Mi auguro che la segreteria cambi idea. Credo che si debbano proclamare 8 ore, fermare l’intera giornata di lavoro. Ma se fossero meno sarebbe comunque un segnale. A oggi però la Cgil non ha proclamato nemmeno un’ora».
«Sono settimane che Non Una Di Meno ha lanciato l’appello per lo sciopero generale. Se la Cgil non lo proclama è perché manca la volontà. Mi auguro che la segreteria cambi idea. Credo che si debbano proclamare 8 ore, fermare l’intera giornata di lavoro. Ma se fossero meno sarebbe comunque un segnale. A oggi però la Cgil non ha proclamato nemmeno un’ora».
E questo cosa significa?
«Un’occasione perduta. Tante sindacaliste della Cgil, delegate e iscritte hanno preso parte a tutto il percorso di mobilitazione di Non Una Di Meno. La stessa Cgil in quanto organizzazione lo ha fatto, pur tra qualche contraddizione. La copertura per lo sciopero generale l’abbiamo, comunque. Grazie a varie sigle di base: tutti l’8 marzo potranno scioperare, compresi gli uomini se lo vorranno».
«Un’occasione perduta. Tante sindacaliste della Cgil, delegate e iscritte hanno preso parte a tutto il percorso di mobilitazione di Non Una Di Meno. La stessa Cgil in quanto organizzazione lo ha fatto, pur tra qualche contraddizione. La copertura per lo sciopero generale l’abbiamo, comunque. Grazie a varie sigle di base: tutti l’8 marzo potranno scioperare, compresi gli uomini se lo vorranno».
In alternativa cosa farete?
«Ben vengano le assemblee nei posti di lavoro, gli incontri, gli spettacoli, le iniziative cittadine. Ma senza lo sciopero il segnale è tutt’altro. Non basta più appendere uno striscione fuori dalle camere del lavoro, né presenziare a qualche flashmob, tanto meno fare il tristissimo minuto di silenzio. Una grande organizzazione come la Cgil deve avere il coraggio di dichiarare sciopero. Sarebbe auspicabile lo facesse anche per tutte quelle lavoratrici precarie che lavorano con i voucher e che subiscono le leggi sui cambi appalto».
«Ben vengano le assemblee nei posti di lavoro, gli incontri, gli spettacoli, le iniziative cittadine. Ma senza lo sciopero il segnale è tutt’altro. Non basta più appendere uno striscione fuori dalle camere del lavoro, né presenziare a qualche flashmob, tanto meno fare il tristissimo minuto di silenzio. Una grande organizzazione come la Cgil deve avere il coraggio di dichiarare sciopero. Sarebbe auspicabile lo facesse anche per tutte quelle lavoratrici precarie che lavorano con i voucher e che subiscono le leggi sui cambi appalto».
Si può essere femminista e sindacalista?
«Si deve. Chi fa la sindacalista è chiamata a difendere le condizioni di tutti, uomini e donne. Questo non è in discussione. Noi donne siamo le prime a capire che c’è una condizione di genere da combattere. I salari sono bassi per tutti, è vero, ma per le donne lo sono sempre di più. Le condizioni di lavoro sono pessime per tutti, ma per le donne è sempre peggio. La precarietà è un problema per tutti, ma le donne sono le più colpite. Non si migliorano le condizioni di lavoro di nessuno, se non si mette in discussione il più generale sfruttamento delle donne».
«Si deve. Chi fa la sindacalista è chiamata a difendere le condizioni di tutti, uomini e donne. Questo non è in discussione. Noi donne siamo le prime a capire che c’è una condizione di genere da combattere. I salari sono bassi per tutti, è vero, ma per le donne lo sono sempre di più. Le condizioni di lavoro sono pessime per tutti, ma per le donne è sempre peggio. La precarietà è un problema per tutti, ma le donne sono le più colpite. Non si migliorano le condizioni di lavoro di nessuno, se non si mette in discussione il più generale sfruttamento delle donne».
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