domenica 18 gennaio 2015

La Cgil davanti alla sua crisi

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di Sergio Bellavita

Il 9 e 10 gennaio l’esecutivo nazionale Cgil si è riunito in una due giorni potenzialmente ambiziosa. Il tema era il rapporto tra il PD, la Cgil e il contesto sociale e politico che le scelte di Renzi hanno definito. Susanna Camusso ha introdotto la discussione sottolineando il carattere strutturale della rottura con il PD, oltre lo stesso Renzi, la scomparsa cioè di un partito di riferimento per la Cgil e quindi il delinearsi, insieme alle implicazioni pesanti del Jobs Act, di una situazione del tutto inedita.

Ha lamentato il fatto che non tutti i quadri dell’organizzazione hanno compreso la necessità di elaborare il lutto di questa rottura. Ha criticato il dualismo esistente nell’organizzazione tra la rottura profonda di vertice Cgil PD e i buoni rapporti che a livello locale continuano determinando un dualismo non più sostenibile.  Si è quindi interrogata su quale possa essere il rapporto tra la politica e il sindacato anche e soprattutto alla luce delle aspettative di massa che la Cgil ha raccolto intorno a se con la manifestazione del 25 ottobre. No ad una Cgil area di minoranza del PD, no a costruire nuovo partito. La Cgil non può divenire il sindacato della nostalgia, minoritario e che raccoglie la fiaccola della resistenza ma deve assumere un ruolo da protagonista nella sfida posta. Proprio perché vogliono collocare il sindacato confederale tra le cose inutili. Innovare quindi perché indietro non si torna, è sinteticamente la riflessione di Camusso. Da qui ha introdotto il tema del rapporto tra le aspettative che le piazze delle mobilitazioni hanno posto e le risposte possibili. Ha chiuso a nuovi scioperi generali a breve, il direttivo Cgil è infatti convocato per il 18 febbraio dopo un passaggio con la Uil e il tentativo di ricucire con la Cisl, affermando che  la partita non si giocherebbe nelle piazze ma nella contrattazione, nel radicamento nei luoghi di lavoro e infine non si scapperebbe dalla indispensabile unità sindacale. Si è interrogata quindi su quale profilo si debba assumere in quanto nessuno, nemmeno la Cgil, sarebbe immune dai condizionamenti dei processi in corso. Rappresentanza e contrattazione devono divenire il luogo entro cui, secondo Camusso, si ricostruisce radicamento sindacale. Non si deve cadere nella pratica dell’art.8 di Sacconi, bisogna decidere se stare o meno dentro le commissioni di conciliazione del nuovo sistema. Infine secondo Susanna Camusso non si deve cedere al leaderismo in questa fase, cosa che riguarda tutti i corpi di rappresentanza, mentre bisognerebbe che i dirigenti Cgil facessero un passo indietro cedendo un po’ di potere verso il basso, a quadri e iscritti, riconoscendo cosi il valore delle persone e dei processi decisionali collettivi.  La discussione che si è aperta ha rappresentato bene il disorientamento e la crisi della Cgil. Tra chi vorrebbe ricostruire il rapporto con il PD o non lo ha mai interrotto a chi pensa che il sindacato debba costruire un nuovo soggetto o almeno essere parte di esso. Sul terreno della contrattazione insediamento e rapporto con il nuovo contesto sono emerse le due spinte di fondo che esistono dentro l’organizzazione, una in sostanza dice che nel nuovo contesto bisogna starci adattando il modello e le pratiche contrattuali e l’altra che chiede un riposizionamento strategico con la riscrittura del programma fondamentale della Cgil. Una dice che nella stagione della deflazione bisogna accettare la chiusura delle politiche salariali e lavorare a quella di filiera, di sito. L’altra dice che bisogna riunificare i contratti per rafforzare la nostra capacità contrattuale perché la contrattazione nazionale è finita per come originariamente è nata. Landini ha chiesto di coinvolgere gli iscritti, anche con consultazioni ad hoc per decidere insieme a loro come proseguire la battaglia contro le politiche del governo Renzi e sulle scelte organizzative Cgil. Rinaldini ha lamentato l’eccessivo ritardo di un direttivo nazionale al 18 febbraio ed ha chiesto alla Camusso di anticiparlo.

Susanna Camusso nelle sue conclusioni ha risposto che la discussione è solo avviata e che proseguirà nella due giorni sulla conferenza di organizzazione. Il mio giudizio è che l’unica cosa vera che alla fine di questa due giorni si può dire sia stata definita è la rottura con il PD. Cosa che di per se non produce nulla ovviamente e che se non vedrà una ridefinizione della linea e delle pratiche rischia di vanificarsi in un processo inesorabile di  sussunzione dentro il PD di tutta la Cgil.  Per il resto la montagna di una discussione importante ha partorito il topolino. Si conferma la centralità dell’unità con Cisl e Uil, e del sistema definito dal Testo Unico del 10 gennaio. Cioè esattamente la continuità deleteria e devastante con le pratiche di questi anni. Il No ad anticipare il direttivo nazionale Cgil sta a certificare la fine della parabola di mobilitazione di questi mesi contro il Jobs Act.

La Cgil appare davvero in gravissima difficoltà ad immaginare una via d’uscita da questa sua drammatica crisi di risultati concreti. O meglio, quella parte che la drammaticità non la coglie perché si considera già parte del nuovo modello sociale questa crisi non la percepisce, mentre Landini – che sa bene quali devastanti implicazioni conoscerà l’iniziativa sindacale senza lo statuto dei diritti dei lavoratori – non riesce a dire l’unica cosa che oggi la Cgil deve fare se davvero volesse ricostruire un argine all’aggressione che governo e padronato perseguono contro il mondo del lavoro: rompere con il  modello del 10 gennaio, disdettare formalmente l’accordo che accetta la totale derogabilità dei contratti e della legge. 

Senza quella rottura ogni discussione su come ricostruisci una contrattazione che risponda ai bisogni dei lavoratori è finta. Il Jobs Act e l’accordo del 10 gennaio sono complementari. Il regime della totale ricattabilità del lavoro funziona solo se si regge su un modello che alimenta e autorizza la contrattazione di ricatto ed espelle il sindacalismo conflittuale e viceversa. Il 10 gennaio, bisognerà riconoscerlo prima o poi , ha rappresentato l’estensione a tutti i lavoratori del modello Marchionne. Il sindacato ai tempi di Renzi, ma non è solo un processo italiano, è destinato a scomparire nella sua funzione originaria. L’unico spazio che gli viene concesso è quello aziendale per la contrattazione di scambio, aziendalista. Quella parte della Cgil che vuole davvero contrastare questa deriva deve ora rompere ogni ambiguità, ogni attendismo. Lo diciamo a Landini che legittimamente ambisce a divenire segretario della Cgil.  Bisogna imporre con urgenza alla Cgil scelte nette, inequivoche, rimettendo in campo la forza della Fiom: altrimenti la fine di questa discussione senza scelte è già segnata. La Cgil ha più volte dimostrato di non aver alcuna capacità di autoriforma. 

Senza una rottura con la destra interna, quella che per capirci  reclama la normalizzazione totale, non può esserci alcuna svolta. Non ci può essere alcun riposizionamento strategico che tenga insieme chi fa i contratti svendendo diritti e salario e chi pensa di aumentarli. Non abbiamo molto tempo per impedire che sia la linea della normalizzazione ad imporsi in maniera strisciante. Dobbiamo muoverci subito altrimenti sarà la Cgil a conquistare Landini e non viceversa.

14 Gennaio 2015

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