di Sergio Bellavita
Il 9 e 10 gennaio
l’esecutivo nazionale Cgil si è riunito in una due giorni potenzialmente
ambiziosa. Il tema era il rapporto tra il PD, la Cgil e il contesto sociale e
politico che le scelte di Renzi hanno definito. Susanna Camusso ha introdotto
la discussione sottolineando il carattere strutturale della rottura con il PD,
oltre lo stesso Renzi, la scomparsa cioè di un partito di riferimento per la Cgil e quindi il delinearsi,
insieme alle implicazioni pesanti del Jobs Act, di una situazione del tutto
inedita.
Ha lamentato il fatto che non tutti i quadri dell’organizzazione hanno compreso la necessità di elaborare il lutto di questa rottura. Ha criticato il dualismo esistente nell’organizzazione tra la rottura profonda di vertice Cgil PD e i buoni rapporti che a livello locale continuano determinando un dualismo non più sostenibile. Si è quindi interrogata su quale possa essere il rapporto tra la politica e il sindacato anche e soprattutto alla luce delle aspettative di massa che
Susanna Camusso nelle sue conclusioni ha risposto che la discussione è solo
avviata e che proseguirà nella due giorni sulla conferenza di organizzazione.
Il mio giudizio è che l’unica cosa vera che alla fine di questa due giorni si
può dire sia stata definita è la rottura con il PD. Cosa che di per se non
produce nulla ovviamente e che se non vedrà una ridefinizione della linea e
delle pratiche rischia di vanificarsi in un processo inesorabile di
sussunzione dentro il PD di tutta la
Cgil. Per il resto la montagna di una discussione
importante ha partorito il topolino. Si conferma la centralità dell’unità con
Cisl e Uil, e del sistema definito dal Testo Unico del 10 gennaio. Cioè
esattamente la continuità deleteria e devastante con le pratiche di questi
anni. Il No ad anticipare il direttivo nazionale Cgil sta a certificare la fine
della parabola di mobilitazione di questi mesi contro il Jobs Act.
La Cgil appare davvero in gravissima difficoltà ad immaginare una via d’uscita
da questa sua drammatica crisi di risultati concreti. O meglio, quella parte
che la drammaticità non la coglie perché si considera già parte del nuovo
modello sociale questa crisi non la percepisce, mentre Landini – che sa bene
quali devastanti implicazioni conoscerà l’iniziativa sindacale senza lo statuto
dei diritti dei lavoratori – non riesce a dire l’unica cosa che oggi la Cgil deve fare se davvero
volesse ricostruire un argine all’aggressione che governo e padronato
perseguono contro il mondo del lavoro: rompere con il modello del 10
gennaio, disdettare formalmente l’accordo che accetta la totale derogabilità
dei contratti e della legge.
Senza quella rottura ogni discussione su come
ricostruisci una contrattazione che risponda ai bisogni dei lavoratori è finta.
Il Jobs Act e l’accordo del 10 gennaio sono complementari. Il regime della
totale ricattabilità del lavoro funziona solo se si regge su un modello che
alimenta e autorizza la contrattazione di ricatto ed espelle il sindacalismo
conflittuale e viceversa. Il 10 gennaio, bisognerà riconoscerlo prima o poi ,
ha rappresentato l’estensione a tutti i lavoratori del modello Marchionne. Il
sindacato ai tempi di Renzi, ma non è solo un processo italiano, è destinato a
scomparire nella sua funzione originaria. L’unico spazio che gli viene concesso
è quello aziendale per la contrattazione di scambio, aziendalista. Quella parte
della Cgil che vuole davvero contrastare questa deriva deve ora rompere ogni
ambiguità, ogni attendismo. Lo diciamo a Landini che legittimamente ambisce a
divenire segretario della Cgil. Bisogna imporre con urgenza alla Cgil scelte
nette, inequivoche, rimettendo in campo la forza della Fiom: altrimenti la fine
di questa discussione senza scelte è già segnata. La Cgil ha più volte dimostrato
di non aver alcuna capacità di autoriforma.
Senza una rottura con la destra
interna, quella che per capirci reclama la normalizzazione totale, non
può esserci alcuna svolta. Non ci può essere alcun riposizionamento strategico
che tenga insieme chi fa i contratti svendendo diritti e salario e chi pensa di
aumentarli. Non abbiamo molto tempo per impedire che sia la linea della
normalizzazione ad imporsi in maniera strisciante. Dobbiamo muoverci subito
altrimenti sarà la Cgil
a conquistare Landini e non viceversa.
14 Gennaio 2015
Nessun commento:
Posta un commento