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martedì 24 ottobre 2017

Al di là della cronoca: lo stupro di Trecastagni ci parla delle condizioni di lavoro dei nostri medici. Cosa avviene in Lombardia - articolo di CLASH CITY WORKERS suggerito da un lavoratore

Sicurezza sul lavoro, ma anche precarietà e perfino questione di genere: il caso delle guardie mediche, di fatto lavoratori subordinati della sanità pubblica, tuttavia senza le tutele del lavoro dipendente; spesso donne, costrette a pericolose visite a domicilio in solitaria. La Lombardia, come sempre, è all'avanguardia nel tagliare risorse pubbliche e favorire lo sviluppo di servizi privati che appaiono più efficienti. A chi se li può permettere.
Nella notte fra il 18 e 19 settembre una Dottoressa, medico di Continuità Assistenziale in servizio a Trecastagni (CT), è stata sequestrata e stuprata da un uomo durante l’orario di lavoro nell’ambulatorio della ex guardia medica.  La notizia ha fatto il giro del paese, fra dichiarazioni contrastanti, fake news, accuse e campagne di sensibilizzazione.
La questione della sicurezza per i medici di Continuità Assistenziale è ripresa da diversi giornali e attraverso numerose dichiarazioni... ma chi sono questi medici? In che condizioni lavorano? Sono nuovi questi fatti di violenza?Il Servizio di Guardia Medica è attivo ogni notte dalle 20 alle 8 e nei festivi e prefestivi, come continuazione del servizio svolto in orario diurno nei giorni feriali dal medico di famiglia. Il medico di Continuità Assistenziale gestisce quindi tutte le patologie “non rimandabili al giorno successivo” e che non siano di pertinenza del pronto soccorso. Un servizio che assicura quindi continuità delle cure e assistenza sanitaria domiciliare anche in contesti sociali degradati, nonché l’assistenza a persone che non hanno il medico di base per svariate ragioni, ad esempio migranti o persone in viaggio per motivi di lavoro o turistici. In Lombardia i medici di Continuità Assistenziale lavorano a partita iva, per lo più con contratti a termine, sono obbligati a sottoscrivere a proprie spese un’assicurazione professionale privata, lavorano con mezzo proprio (il lavoro è precluso a chi non fosse patentato o automunito) e spesso le sedi di lavoro sono isolate e non adeguatamente protette. Ci sono medici che lavorano in queste condizioni da trent’anni con passione, come scelta di vita, altri per ripiego o perché costretti da norme burocratiche, ad esempio i giovani medici in specializzazione a cui è vietato lo svolgimento di qualunque lavoro eccetto questo. I fatti di violenza si susseguono da anni in tutta Italia, quasi sempre a discapito di medici donne: negli ultimi dieci anni decine di stupri e tentati stupri, rapine, aggressioni e quattro omicidi.
Ora che il tema della sicurezza è tornato in auge a causa del terribile fatto di cronaca accaduto in Sicilia, si pensa quindi di adottare misure per aumentare il livello di sicurezza nelle varie postazioni in tutta Italia? No. In Regione Lombardia il servizio viene sotto finanziato da anni e sono previsti ulteriori tagli per il 2018. La regione decide di ridurre i fondi alle ATS, che a cascata risparmiano su centralini e affitti, rendendo così il lavoro insostenibile: postazioni con medico unico, che deve gestire ambulatorio, telefonate e visite domiciliari senza più il supporto della centrale operativa creata nel 1996 proprio per migliorare l'organizzazione del servizio.
Sembra proprio il solito giochetto di smantellamento del servizio pubblico tagliando risorse, creando disservizi per poi far subentrare il privato a costi esorbitanti per i cittadini e creando disparità di accesso in base al reddito.
Sarà un caso che a Milano stanno nascendo le prime guardie mediche private?
Eppure si sono stanziati milioni per la riforma sanitaria lombarda, che subappalta al privato parte delle attuali competenze dei medici di medicina generale nell’ambito della gestione dei pazienti affetti da patologie croniche. Non contando i costi folli del referendum pagliacciata sull’autonomia lombarda... ma ovviamente soldi per la sicurezza dei medici di Continuità Assistenziale non ce ne sono!
Che servizio può rendere al cittadino il medico così oberato di lavoro e spaventato? È giusto che dei medici professionisti donna vadano a fare le visite domiciliari nel cuore della notte nel completo terrore e con lo spray al peperoncino in tasca?
La risposta si può ricavare facilmente dalle parole della dottoressa Giulia Marini, fra le fondatrici della campagna “Qui SiCura” a Grosseto: “Se le condizioni in ambulatorio sono totalmente prive di barriere, l’uscita notturna per raggiungere il paziente si trasforma in un autentico calvario durante il tragitto, con l’assillo del pensiero di chi potresti incontrare al domicilio della persona che ti ha chiamato. Questo servizio delicato, importante e sottoposto a molti possibili risvolti diventa insostenibile nell’ottica della sicurezza personale, e l’ostacolo della paura nuoce alla concentrazione e alla soluzione del caso clinico.”
Per ovviare al problema, le proposte avanzate dai medici sono molteplici: uscite a domicilio solo ed esclusivamente con accompagnatore; ambulatori presidiati da almeno due addetti e situate in contesti protetti, come le sedi della Croce Rossa; mantenimento o ripristino della centrale operativa.
Idee del tutto incompatibili con le politiche di tagli perpetrate in questi anni, che anzi richiederebbero rinnovati investimenti nella sanità pubblica. Proposte che abbiamo il dovere di sostenere e far nostre, perché la tutela dei lavoratori è e deve essere un nostro obiettivo primario. Perché senza la sicurezza dei medici non è garantito il diritto all'assistenza sanitaria per tutti.


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