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venerdì 3 ottobre 2014

Perché questa CGIL non ce la fa con Renzi

Sono bastati pochi giorni per rendere chiaro a tutti  che la Cgil e la Fiom hanno deciso di non fare sul serio. 
contro la legge delega Jobs Act. Susanna Camusso, stretta tra l'improvvisa spinta di Landini con la scelta della manifestazione nazionale e il crescente malessere degli apparati e delle strutture della confederazione stanche della totale passività dell'organizzazione davanti agli sbeffeggi di Renzi e di Cisl e Uil, è stata costretta a decidere un’iniziativa come sola Cgil. Ma non lo sciopero, prima subordinato incomprensibilmente ad un eventuale decretazione d'urgenza sull'art.18, oggi volatilizzato davanti alla concessione di un incontro ufficiale con Renzi nella sala verde riaperta per l'occasione.  La penosa quanto finta contrapposizione tra Renzi e la sinistra Pd, gli uni e gli altri responsabili direttamente di tutte le controriforme che in oltre vent'anni hanno massacrato il lavoro, ha tuttavia ridato fiato ad un lavorio oscuro nei corridoi del palazzo su possibili mediazioni, peraltro ridicole rispetto alla portata dei provvedimenti di Renzi. Lavorio che ogni giorno di piu smobilita e rende incomprensibili le ragioni della contrarietà della Cgil. C'è una ragione di più per denunciare la pochezza e l'ambiguità della risposta sindacale. Sul tavolo ovattato della sala verde verrà calata la cosidetta"Agenda Landini". Termine mediatico per avvalorare la tesi della buona politica di un Renzi arrivato al punto di fare proprie alcune richieste del segretario dei metalmeccanici. Il punto è che Landini deve prendere le distanze dell'uso che Renzi fa del suo nome mentre si appresta a demolire il già fatiscente castello dei diritti e delle tutele. Altrimenti  si va certamente al disastro. Noi non ci stiamo. Sono già diverse le fabbriche che hanno scioperato contro il Jobs Act, dalla Same alla Kpl di Lucca e Bologna, alla Necta di Bergamo. E molte altre ne verranno. Ci appelliamo a tutti  I lavoratori e le lavoratrici, ai delegati ed alle delegate, ai tanti quadri sindacali che non sopportano più questo clima di resa generalizzata davanti alle scelte criminali del governo.  Il 25 ottobre è una giornata di lotta per noi, non una sfilata innocua a Roma. Vogliamo lo sciopero generale, vogliamo che il sindacato faccia il suo mestiere. 
 
Sergio Bellavita
 

4 commenti:

  1. Sono d'accordo su tutto tranne che su un punto, che mi sembra sostanziale: non e' certo la prima volta che Camusso annuncia lo sciopero generale e poi non ne fa niente, cosi' come Landini minaccia chissà quale battaglia (anche interna alla Cgil) e poi non ne fa niente. Sono anni che si ripete tristemente questo misero gioco delle parti, mentre padroni e Renzi se la ridono di noi. Lo abbiamo capito il trucco?

    Giacomo

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    1. La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il Re è il Re, non si rende conto che in realtà è il Re che è Re perché essi sono sudditi.
      - Karl Marx -

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  2. Da Senza Soste...

    Perchè è importante difendere l'articolo 18

    Sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori stanno dicendo di tutto e di più. La cosa più insensata è il fatto che gli investirori stranieri non vengono in Italia per colpa dell'articolo 18. La porta ai capitali di rapina (o mordi e fuggi), invece, è già stata aperta dalla Riforma Fornero quando è stato tolto l'obbligo di motivare l'utilizzo di contratti che non fossero a tempo indeterminato (la cosiddetta causalità del contratto). Dopo la Riforma Fornero e l'immissione del principio di acausalità del contratto, gli imprenditori possono fare come vogliono, avere 10 assunti a tempo indeterminato e 100 a tempo determinato senza dover spiegare perchè (cioè senza dover specificare le esigenze produttive).

    L'articolo 18 con tutto ciò non ha niente a che fare perchè serve solo a tutelare il lavoratore da abusi, licenziamenti discriminatori oppure da licenziamenti discriminatori mascherati da falsi problemi di natura economica. Ma perchè è così importante l'articolo 18? Semplice, perchè senza l'articolo 18 saranno solo il ricatto e la paura a regolare i rapporti fra capitale e lavoro, fra imprenditore e lavoratore. Ma c'è di più. L'articolo 18 è l'essenza stessa del diritto del lavoro. Chi mai chiamerà in causa la propria azienda per stipendi arretrati da avere o per mancanza di sicurezza se la legge permette al datore di rivalersi su di lui con un licenziamento che al massimo sarà sanato con un pagamento di indennità e non con il reintegro, in un momento in cui la disoccupazione è alle stelle? L'articolo 18 non è nè causa nè stimolo per occupazione o economia, è però l'unica norma che riesce (o meglio riusciva prima che riforma Fornero che la iniziasse a decapitare) a tenere in equilibrio e regolare i rapporti fra capitale e lavoro. Se venisse abolito assisteremmo a una escalation negativa su salari e sicurezza inimmaginabile.

    E quelli che non ne possono già ora usufruire? L'esistenza dell'articolo 18 è comunque un elemento di forza per il mondo del lavoro, che poi si esprimerà (in base a quanta forza hanno saputo dargli i lavoratori) nei contratti nazionali di cui poi usufruiranno come base salariale e normativa anche coloro che non ne beneficiano. Se chi oggi è più tutelato, grazie anche all'articolo 18, perde forza nei confronti del capitale, a cascata c'è un arretramento di tutte le forme e situazioni contrattuali. Se peggiora la situazione dell'operaio della grande industria, figuriamoci quella dell'operaio della media e piccola impresa oppure quella dei giovani o dei precari. Il vero obiettivo dell'abolizione dell'articolo 18 è quella di mettere tutto il mondo del lavoro sotto scacco e sotto ricatto per aumentare la produttività e diminuire i salari in modo da spostare la ricchezza dal lavoro al profitto, proprio come chiedono i grandi capitali internazionali che adesso dispongono di più forza economica degli Stati stessi. Oltre al fatto di portare i salari sui livelli serbi o polacchi in modo da favorire investimenti (profitti) e esportazioni.

    E' facile capire che una tale situazione è l'aperitivo ad un peggioramento delle condizioni di vita di tutti noi (eccetto una minima parte della popolazione che ne beneficerebbe). L'articolo 18 è una delle norme cardine della nostra vita da lavoratori. Non facciamoci abbindolare dai gelatai e venditori di fumo al servizio di interessi a noi lontani e a noi antagonisti.

    Infine, la proposta del prestigiatore di Rignano e dei suoi accoliti di mettere il TFR in busta paga ogni mese è solo il tentativo di mascherare quello che abbiamo appena detto, cioè la prospettiva di salari da fame.

    3 ottobre 2014

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  3. Il Tfr in busta paga: il danno oltre la beffa

    L’Italia è un paese di creduloni econo­ mici. In tale materia, infatti, si rag­ giunge il paradossale. È vero che in que­ sto paese la scienza economica è ancora appannaggio di un élite servizievole e corporativa a dimostrazione, come se ce ne fosse ancora bisogno, che l’economia politica è una vera e propria scienza del potere (quindi un sapere ai più irrag­ giungibile), tuttavia tale triste situazione non giustifica le falsità che ci vengono quotidianamente raccontate dalla schiera di cortigiani del governo, a par­ tire dallo stesso Renzi.

    Ci limitiamo solo a due esempi. A Che Tempo che fa , il capo del governo ha dichiarato: «Cancelliamo il precariato e tutte quelle forme di collaborazione che hanno fatto del precariato la forma pre­ valente del lavoro». Glissiamo sul fatto che sarebbe stato meglio dire «abo­ liamo la precarietà» invece che il «pre­ cariato» (intendeva fisicamente?). Giusto proposito, ma assolutamente falso. Il nostro si riferisce alle collaborazioni, senza far volutamente cenno al fatto che oggi in Italia quasi il 70% dei con­ tratti precari sono costituiti dal con­ tratto a tempo determinato, proprio quella fattispecie che il Jobs Act atto I ha del tutto liberalizzato, con l’intenzione di fare di questo contratto il rapporto di lavoro prevalente in Italia.

    Se veramente Renzi volesse abolire «il precariato», per prima cosa dovrebbe cancellare la prima parte del Jobs Act, che lui stesso ha promosso e imposto a tutti i costi con la Legge 78 firmata Poletti. Possibile che nessuno l’abbia fatto notare, a partire dai sindacati? A Ballarò , invece, Renzi ha dichiarato che intende inserire il Tfr in busta paga: «Per uno che guadagna 1300 euro, vuol dire un altro centinaio di euro al mese». A parte il fatto che, come per gli 80 euro, ciò vale solo per il lavoro dipen­ dente, nessuno ha sottolineato che il Tfr fa parte già del salario del lavoratore/trice. È come ottenere un aumento del salario netto attingendo allo stesso sala­ rio lordo, in particolare quella quota di salario differito che viene mensilmente accantonato per far fronte alla perdita del posto di lavoro. Oltre il danno, la beffa. Facilito ancor di più il licenzia­ mento individuale e, in cambio di una manciata dei «tuoi» euro, ti tolgo una valvola di sicurezza. Una partita di giro, apparentemente a costo zero per lo Stato e per le imprese, in realtà assai costosa per le casse dell’Inps e soprat­ tutto per le piccole imprese che utiliz­ zano il tfr dei lavoratori come fonte di cash-flow per far fronte agli impegni di pagamento.

    Notare che tutto ciò avviene in un con­ testo in cui ottenere prestiti bancari è alquanto difficile e in cui la liberalizza zione dei licenziamenti individuali è oramai cosa fatta, a partire dalla riforma Fornero. A dimostrazione che la discussione attuale sull’art. 18 è del tutto superata e che il polverone alzato ha ben altri scopi. E che le magnifiche aspettative di crescita dell’economia di Renzi si riducono ancora una volta ad accentuare la guerra tra poveri, con buona pace dei poteri forti.

    ...

    Che dice la nostra Rsu, ovvero il coordinatore unico?

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